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Bresciaoggi.it – Il cannocchiale di Paolini svela la miopia dei regimi culturali

Risalgono alle scuole superiori le scolorite reminiscenze su Galileo Galilei. A meno che non si condivida la passione per le scienze, del fisico pisano si ricordano vagamente la famosa frase «eppur si muove!», la rivoluzione anti-tolemaica e l'abiura. Ricordi messi da parte solo perchè studiati (più o meno controvoglia). Ma chi era davvero Galileo Galilei, e perchè la sua ricerca ha rivoluzionato il metodo scientifico? A «raccontare» la vita - e le avventure - dell'astronomo ci ha pensato Marco Paolini, protagonista venerdì sera all'Odeon di Lumezzane e ieri sera al Palabrescia di via San Zeno di «Itis Galileo». L'inizio è già un vero e proprio «sconvolgimento». Paolini infatti guarda gli spettatori e li lascia liberi di mettere in pratica «un minuto di rivoluzione». A questo proposito, va detto che il pubblico dell'Odeon si è dimostrato fin troppo «educato»: tranne qualche risatina, il silenzio è stato infatti totale, e Paolini stesso si è mostrato stupito, confessando che in altri teatri la «rivoluzione» è stata ben più concitata. Per poi spiegare che in quel breve minuto di rivoluzione la terra - e tutti noi che ci stiamo sopra - ha contribuito «girando» di 1800 chilometri intorno al sole. Esaurito il primo aneddoto, è iniziata la «lezione». E, come tutte le lezioni, serviva un volontario. Il «professor» Paolini l'ha pescato direttamente dalle prime file, coinvolgendolo simpaticamente nella lettura di alcuni brani del libro «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo». LA STRUTTURA DI BASE dello spetacolo si regge quasi interamente sulle vicende biografiche di Galileo. Così, sul filo del paradosso, si scopre che il «fiorentino» (ma nato a Pisa) è stato l'unico «ricercatore precario» dell'Università italiana a far carriera e diventare ad un certo punto «ordinario». Si scopre che quell'irrequieto giovanotto di belle speranze, al di là del suo cannocchiale, delle cattedre d'insegnamento e dello studio delle volte celesti, fino alle accuse del Sant'Uffizio contro la rivoluzione copernicana, era un instancabile rivoluzionario del pensiero ma anche un ambizioso, arrivista, oculato amministratore di economie. Ovviamente a tenere viva l'attenzione ci pensa Paolini. Le due ore non-stop di spettacolo sono ricche e piene di spunti, tanto da arrivare alla Commedia dell'Arte. Nata nel 1564 proprio a Padova - la città-università dove Galilei aveva una cattedra e uno stuolo di studenti appassionati di tutta Europa -, con la Commedia tocca fare i conti. E Paolini li fa, nel modo migliore. Indossa la maschera dello Zanni e interpreta magistralmente un passaggio del «Dialogo», dove si spiega come sia possibile muoversi avendo la sensazione di star fermi. Il testo galileiano di colpo recupera senso, diventa esplosivo: e forse si capisce perché all'epoca sembrasse una mina nella stagnante cultura papalina. E proprio una mina è fisicamente al centro della scena: «certe idee sono mine vaganti», dice Paolini. Fanno paura. Come quelle di Giordano Bruno, bruciato in piazza; come quelle di Tommaso Campanella, a lungo incarcerato. Come quelle di Galileo, costretto all'abiura. Come quelle di Keplero, che con il pisano intesseva un appassionante carteggio. Così nel finale, Marco Paolini è a cavallo della mina - come il Maggiore Kong de «Il Dottor Stranamore» di Stanley Kubrick - e chiude il sipario, come era prevedibile, con le tre parole più famose: «Eppur si muove».

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