Grande successo di Marco Paolini col suo monologo (scritto con Gianfranco Bettin) “Le avventure di Numero Primo” al Teatro comunale per la stagione del Teatro Stabile
Dove cercare una capra in un ipotetico (non tanto lontano, però) futuro immaginato da Marco Paolini nel suo spettacolo-monologo Le avventure di Numero Primo (in scena al Teatro Comunale di Bolzano nei giorni scorsi), in cui la campagna intorno al luogo in cui è ambientata la storia, ossia la zona tra Mestre, Venezia e Trieste, è ormai di tipo 3.0? Su Amazon, ovviamente! Sarà spedita a casa nel giro di ventiquattr’ore, per prova, stampata in 3D… Siccome il figlio assegnato al padre, di nome Ettore Achille (chiamato così da suo padre indeco tra due grandi figure mitologiche…), da una donna conosciuta online, e sentita solamente vocalmente al telefono, in seguito a una malattia terminale consegnatogli come “figlio naturale”, nel giro di una sola mezz’ora di permanenza della capra nel suo appartamento di via Piave a Marghera si affeziona talmente alla deliziosa capretta, che Ettore Achille decide di tenerla per il piccolo che si fa chiamare Numero Primo, appunto.
Paolini non fa altro che attingere a piene mani dalla realtà che ci circonda. Con i soli ausili di alcune immagini proiettate sullo sfondo e che in alternanza rappresentano il mare, la campagna verdeggiante o paesaggi temibilmente fosforescenti, nonché qualche disegno che con semplici linee bianche su sfondo nero richiamano le forme di dispositivi tecnologici o di un corpo, seduto, rannicchiato e disteso, egli apre vasti territori del noto e dell’ignoto. Sulla scena ci sono due cumuli, uno ha la forma di scoglio/roccia e l’altro della base di una colonna di un edificio che fu… Il pubblico entra con il sipario alzato, a scena aperta, vuota, al buio, dove a meglio guardare cade inesorabilmente una goccia dall’alto per andare a finire su quella maceria (una metafora della nostra civiltà storica?), e sarà quella stessa goccia a segnalare alla fine, in piena luce, l’atmosfera di inquietante bellezza dell’incerto futuro di un’umanità sempre più alla ricerca di un di più, di un andare oltre, dell’accelerazione, del tempo che non c’è. Viene in mente che in un racconto del Novecento si parlava di un’ “isola che non c’è”…
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Elfi Reiter