A Rovereto L'attore ha inaugurato l'Auditorium del Mart. E ieri sera il concerto pop di Rossana Casale
ROVERETO. Tre ore e mezza di spettacolo. Un monologo a tratti sofferto, in altri travolgente. Marco Paolini nel suo «Parlamento chimico», per la prima volta in Trentino, parte dal Veneto ex contadino, dalla Marghera sorta tra le due guerre grazie a un condono fiscale e dall'operaio Bortolozzi, che arrivato alla pensione cerca i suoi vecchi compagni di squadra e scopre che sono tutti morti di tumore al fegato. Racconta una storia italiana che potrebbe essere la storia d'Italia. Mescola l'industrializzazione forzata e il miracolo economico, l'inurbamento e le mille patrie dei dialetti, l'ingenuità di chi maneggia polimeri come suo padre rimestava la meliga per i polli, e il pelo sullo stomaco di chi questa ingenuità sfrutta. Ma passa anche per la grande finanza, per le resistibili ascese di manager senza una lira che si arricchiscono vendendo bene i loro debiti, per la maxitangente Enimont, per le contraddizioni del sindacato, per i politici che hanno segnato la storia della Repubblica con le loro ambizioni e le loro scommesse, sistematicamente perse ma sempre pagate da qualcun altro. E su tutto una chiave di lettura: la recente assoluzione dei vertici di «Petropolis» (il complesso petrolchimico di Marghera ha cambiato troppi nomi: bisogna inventarne uno per riunirli tutti) dall'accusa di disatro colposo continuato. «Non si può condannare un modello di sviluppo», dice Paolini. Se la plastica è oggi la base del nostro modello di vita, chi è morto di cancro in Montedison, è morto in qualche misura per ognuno di noi.
E i morti sono forse il filo conduttore di tutto lo spettacolo. Morti sono un centinaio di ex operai, uccisi vent'anni dopo da quelle esalazioni dolciastre e inebrianti che nè loro nè la medicina di allora credevano pericolose; morto è il sorriso del «corsaro» Gardini, travolto dalle proprie ambizioni e vittima di un sistema che ha retto per un secolo per scoppiare proprio quando in mano ce lo aveva lui, morto è Mattei, il padre dell'Eni e dell'industria chimica italiana. Ma morti sono anche lo statuto dei lavori, la giustizia, il comunismo, l'ingenuità di «60.000 operai che sopportano tutto perchè il loro figlio sarà ingegnere capo». Tutti morti male. E tutti stritolati dallo stesso ingranaggio: quel «modello di sviluppo» che - dice Paolini - non si può giudicare. Tutto questo, una lezione universitaria sull'Italia e sull'economia, supportata da dati e dettagli frutto di una ricerca meticolosa, Paolini lo racconta in un alternarsi sapiente di toni. Un pugno nello stomaco e una risata liberatoria, una lezione di chimica e una caricatura di Cuccia. Tenendo inchiodati alle poltroncine del nuovo auditorium del Mart i suoi 500 spettatori fino alla fine. Un pubblico coinvolto da quelle note amare non meno di quello che ieri sera ha applaudito le dolci note di Rossana Casale, nel secondo evento legato al varo del nuovo Auditorium.
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