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Alto Adige – Il "Galileo" di Marco Paolini conquista i bolzanini

Cronaca di un successo annunciato: Marco Paolini, vero maestro della narrazione teatrale, è artista tra i più amati dal pubblico bolzanino e la conferma, l’ennesima, è arrivata in occasione della messinscena di “ITIS Galileo” in visione al Teatro Comunale ancora per oggi (appuntamento alle 16), nella stagione Tsb. Ideato in collaborazione con Francesco Niccolini, impreziosito dalla consulenza scientifica di Stefano Gattei e storica di Giovanni De Martis, lo spettacolo interpretato dall’affabulatore veneto supera la difficile prova della teatralizzazione di una biografia tortuosa e complessa come quella dello scienziato, matematico e filosofo toscano. La ricostruzione della vita galileiana, seguita con rigore cronologico, diventa un racconto storico dalla Toscana al Veneto e ritorno imbevuto di tratti fiabeschi, grotteschi, comici, tragici, che illuminano il percorso di un uomo astuto, intraprendente e tenace, intorno al quale Paolini muove i protagonisti antichi e moderni della cultura astrologico-scientifica, da Aristotele e Platone a Tolomeo, Copernico, Giordano Bruno.
Secondo un procedimento narrativo proprio dell’attore veneto, anche in questo lavoro la storia del passato si mescola nel nostro presente e così il suo Galileo diventa espressione di un pensiero solitario che fa resistenza alla facile e comoda omologazione. La lotta contro le teorie scientifiche dominanti diventa scontro con le dottrine imposte dalla Chiesa, i principi etici e morali, gli orientamenti filosofici del Seicento, ed è sostenuta da un uomo ambizioso, egoista, anche spregiudicato.
Sorta di simbolo del precariato giovanile durante la frequentazione universitaria nel periodo pisano, poi esempio di “cervello in fuga” verso Padova, Galileo diventa scaltro e sofisticato promotore di sé quando finalizza la diffusione di pubblicazioni e invenzioni anche alla ragione del portafogli e del successo; infine, vecchio e cieco dopo l’abiura a seguito della condanna inflittagli dal tribunale del Sant’Uffizio, non si rassegna, continua la lotta, solleva dubbi, indaga le leggi dell’universo.
Il recital di Paolini, con un cappelluccio nero in testa e grembiule di cuoio da fabbro o garzone di bottega, si avvale di una scenografia limitata a pochi oggetti predisposti da Juri Pevere: un leggio, sul quale poggia il celebre libro “Dialogo sui massimi sistemi” e una sfera-mondo, sorta di pendolo-mina-ordigno rudimentale che pende dal soffitto e che simbolicamente Paolini cavalca alla fine dello spettacolo evocando anche il volo nell’infinito della volta celeste del barone di Münchhausen.
La scena è bellissima ed è l’ultima di una ricca collezione preceduta da un altro capolavoro: l’attore indossa la maschera di Zanni e anima una discussione tra filosofi dell’epoca appoggiandosi ad un avvincente e trascinante lazzo da Commedia dell’Arte, che nasceva proprio a Padova durante gli anni del soggiorno galileiano e condividendo lo stesso spirito di rinnovamento in campo teatrale. Autentico mattatore di razza, grande trascinatore, Paolini adotta un italiano filtrato nel veneto e regolato da un bel ritmo, con momenti di sospensione, accelerazioni, battute improvvise  accompagnate da un preciso e minuzioso registro gestuale. In questo modo lo spettacolo guadagna di leggerezza, finemente ricamata con maestria divulgativa e cognizione culturale. Calamita l’attenzione del pubblico con quella patina di comicità ora surreale ora amara, ora provocatoria e intellettuale, che gli è propria e definisce il suo stile espressivo. Il numeroso pubblico alla fine premia la fatica creativa del maratoneta-Paolini-Galileo con lunghi e calorosi applausi.

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