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Alto adige – La favola del mondo nuovo con Paolini

La favola del mondo nuovo sul proprio presente. Anche Numero Primo, che Marco Paolini insieme con Gianfranco Bettin ha chiamato al mondo e portato al TSB, è un puer novus, fa parte di quella schiera lì. Ce ne sono molti, anche nella letteratura più recente. Ma Numero Primo ha qualcosa di diverso, se non “in più” . La sua novità non è morale. Non è filosofica. Non è ideologica. Riguarda prima di tutto la sua “natura”: il come è fatto. E questo è senz'altro il primo. Dalla sua “costituzione” consegue il suo portarsi. È naturale o artificiale? Mah. Certo è che, con lui, siamo nel futuro. Un futuro immaginato sulla base dei tanti indizi che ci mostra il nostro oggi. Diciamo un futuro credibile: né auspicabile né detestabile. Sempre sospeso lì, come il nostro 2018, tra bene e male. Intenerisce, Numero Primo, per la forza che sprigiona dalla fragilità dei suoi sei anni, intenerisce per la sagacia della sua abilità nell'imparare, intenerisce per la sua sete di conoscere, conforta per la sua curiosità degli altri: adora gli sconosciuti e questo fa breccia in tutti. Con lui, che non si vede, cammina un padre affidatario e naturale (sì sì, naturale e affidatario), che invece in scena c'è, e fa, a ben pensarci, la cosa più straordinaria e rara che un padre possa fare, come il suo omonimo Ettore, il saggio Troiano eroe: si fida di lui. Si fida di questo suo figlio. Si lascia stupire dalla sua natura così sorprendentemente diversa, impara poco a poco a conoscerlo, e così lo aiuta a crescere. Lo innalza al cielo, come il suo omonimo omerico, perché anche lui raccolga la sua gloria.c'è un po' di Piccolo Principe, un po' più di Pinocchio, un po' di technothrilller, un po' di sana etica da giostrai e proprio niente di sovrannaturale, in questa bella fiaba che non comincia e non finisce. Forse, è vero, ci parla anche di scenari futuri, della tecnologia che riempe i nostri orizzonti, di quello che già è e potrà ragionevolmente diventare. Ci suggerisce che è come una bellissima e antica lama sarda: ha in sé la nobiltà dell'utile, e l'ebbrezza della violenza. Però ci dice innanzitutto dell'incanto della fanciullezza, che è disarmata e potentissima, bisognosa di cure e capace di spiazzare la vita. Ci porta in Via Piave, a Mestre, in mezzo a tutti i popoli del mondo, dove apprendiamo che si potrà vivere benissimo, con la leggerezza giusta nel guardare le cose. Ci fa entrare in una ambiziosa scuola da talent show, e al contempo ci scarrozzerà su e giù per il Triveneto su un'auto scassata. L'abilità di Paolini è nota: stai lì e ti lasci portare, come quando ascoltavi le fiabe sui dischi che avevi l'età di Numero Primo. È un genio, Numero Primo? Perché e così intelligente? Perché apprende con quella rapidità? Perché dorme così poco? Perché sa farsi amare con tanta naturalezza? Chissà. Ettore ha smesso di chiederselo, perché ha imparato ad amarlo. Forse, in questo futuro a un passo da casa, ha guardato il Monte Pelmo, che dalla sua casa di montagna si vede: lui sì ne ha viste di tutti i colori, è sopravvissuto a tutti i futuri, e non avrà certo paura dell'onnipresenza della Tecnica, o di un bimbo un po' alieno che gli cammina sopra, portando il cognome di un vecchio mago dei numeri francese.

Paolo Mazzucato

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