Se lo avessimo letto, con i tempi che ciascuno dedica alla lettura-comprensione-analisi-giudizio, forse ci sarebbe piaciuto anche di più, l'ITIS Galileo di Marco Paolini, che su La7, mercoledì sera, ha contato un pubblico di 1.482.000 spettatori, share 5,73%. Uno di quei programmi che si onora in anticipo con l'abolizione degli inserti pubblicitari, e che si riceve come un dono, dato il livello dei testi e la profondità degli assunti. Ma che mercoledì, per la prima volta forse, per gli affezionati dell'autore-attore, ha dato della cultura un'immagine un po' troppo esclusiva. Pubblico speciale in sala – le profondità del Gran Sasso, l'Istituto di Fisica Nucleare, i ricercatori che coglievano nomi e citazioni con competente allegria – e pubblico fedele a casa, pronto a ricevere una ricca messe di dati e di fatti, nomi e allusioni, citazioni e rimandi: una cultura, tanto rara e desiderata, che si è tuttavia proposta con un tono a volte criptico, in stile da esame universitario, senza la semplicità immediata e cattivante che Paolini ha sempre offerto. La vita di Galileo, l'abiura di Galileo, la lotta della ragione contro il dogmatismo, Platone e Aristotele e Tolomeo, Keplero e Copernico, Tico Brahe e Giordano Bruno, e l'infinito che la matematica illustra e scompone: una gran messe di dati e riferimenti si è sovrapposta all'umorismo scarnificato e aguzzo di Paolini, che ne ha fatto il commento in gesti e lazzi e ammiccamenti espressivi, in una scenografia austera e significativa nella sua essenzialità. Un "libro" che è divenuto sceneggiatura conservando tuttavia la ricchezza degli elementi, a suggerire una miriade di riflessioni sullo ieri e sull'oggi, quell'oggi in cui la tecnica e la ragione devono trovare accordo e spazio. Avercene, di testi così. Mentre alla fine il supplemento sulla scienza e i neutrini ha trovato Paolini un po' spaesato e prolisso, Galileo è apparso nella sua controversa presenza un gigante ferito: il teatro come ritratto e interpretazione, per avviare a pensare.
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