di Paolo Mereghetti
L’ambizione di Berlinguer di dar vita negli anni 70 a un governo che riunisse comunisti e cattolici va di pari passo con l’ambizione di Andrea Segre (e del cosceneggiatore Marco Pettenello) di usare il cinema (di finzione, non solo documentario) per raccontare il pensiero del leader politico che aveva guidato il Pci in quegli anni tormentati. E se quel progetto fu fatto naufragare dalle Brigate Rosse col rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, diciamo subito che il film Berlinguer – La grande ambizione, scelto per inaugurare la 19ª edizione del Roma Film Fest, la sua invece la porta a compimento. E anche ottimamente. Il film si apre con il golpe in Cile e il viaggio di Berlinguer a Sofia, dove scampò a un incidente che lui considerò un attentato, e si chiude di fatto con la notizia del ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani, a cui seguono le immagini del funerale del segretario del Pci sei anni dopo, nel 1984.
Ma sono i cinque anni che vanno dal 1973 al 1978 il cuore del film e del racconto di Segre, che affronta i temi politici e i dibattiti nella direzione del partito scegliendo volutamente un sottotono emotivo, non per nascondere le voci discordanti (che si sentono: Ingrao, Terracini) ma per mettere in evidenza i momenti cruciali di quelle scelte, per far emergere le ragioni, i dubbi, le riflessioni. E allo stesso modo i momenti privati, in famiglia, con la moglie Letizia e i quattro figli (Bianca, Laura, Marco e Maria) non servono per alleggerire o distrarre dalla politica ma per offrire un ulteriore aspetto dell’uomo, a cui Elio Germano offre un’interpretazione d’antologia, sobria e intensa insieme.
Al film non interessa prendere posizione pro o contro il «compromesso storico» o innescare l’ennesimo dibattito ideologico ma piuttosto restituire i passaggi essenziali di un pensiero politico che voleva confrontarsi con i bisogni dell’Italia. L’obiettivo è esplicitamente didascalico, ma ottenuto per forza di morale e non di retorica. Morale delle immagini per prima cosa, tutta giocata sul contrasto tra la ricostruzione del dibattito politico e l’uso del materiale di repertorio, capace di restituire non la militanza delle bandiere rosse ma la realtà dei volti di un popolo. Poi morale della politica e del discorso politico, decantato e distillato nella sua essenzialità. E infine morale della recitazione, con un gruppo di attori perfetti nel restituire l’umanità dei personaggi senza inseguire il noschesismo.
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