Clima, nucleare e Giorgio Gaber le verità di un narratore

Almeno dai famosi allestimenti sulla tragedia del Vajont, passando per gli Album, straordinario resoconto a puntate della generazione post Sessantotto, via via fino alla rilettura dell’Odissea, Marco Paolini ha usato il teatro come un rovesciamento della tradizionale gerarchia di valori e innestare negli spettatori dubbi e domande, grazie anche a una naturale comunicativa che mescola il racconto dello spirito del tempo con la sua biografia.

Negli anni — e ne sono passati più di 25 — poco è cambiato anche in questo ultimo Sani! Teatro tra parentesi che sta avendo un bel successo al Piccolo di Milano (è fino al 5 poi in tournée). Il titolo
gioca sul doppio senso: “sani” come l’antico saluto delle valli del Piave, e il gaberianamente “far finta di essere sani”, come ci viene raccontato attraverso una serie di storie brevi, inframmezzate dai canti originali di Saba Anglana e la chitarra di Lorenzo Monguzzi.

Al centro della scena — un gigantesco castello di carte, che evoca l’instabilità generale — Paolini, con microfono, apre con l’esilarante ricordo di quando era abbastanza povero e sfigato da dover inventare a Treviso una serata con Carmelo Bene. Ma la voglia è “parlare di noi”, e dunque, più col pilota automatico che con intenti corrosivi, si va ovviamente sul pianeta, la sostenibilità, il clima, il sorpasso degli oggetti artificiali sulla materia vivente, divagando sul funzionario russo che evitò la guerra nucleare, l’Europa dormiente e la tirata a stare uniti, fare ponti, pensarci insieme... lasciandoci la doppia impressione di uno spettacolo civile e imperfetto, più onesto che contagioso.

di Anna Bandettini