Corre su e giù per la Penisola facendola scoprire
Paolini a Fano incanta il pubblico con la sua arte
FANO - Chi è che si ricordava di Arillo, animaletto cantatore, il curioso e simpatico protagonista della poesia di Salvatore Di Giacomo, amico degli anni in cui a scuola si studiava la “Lucania” e si mandavano a memoria interminabili filastrocche, simili a piccoli capolavori in poesia?
Con un suo ghiribizzo Marco Paolini l’ha inserito nella sua sceneggiatura, insieme a un bestiario che tratta uomini e animali sullo stesso piano e popola un paese di fantasie letterarie che sanno molto di realtà, o meglio, di sapore di realtà, con l’atmosfera dà sapore al paesaggio. Al centro del palcoscenico del Teatro della Fortuna, arredato semplicemente con sette “preghiere” islamiche, in compagnia di sei musicisti, straordinari evocatori di favole in musica, Paolini è apparso come uno degli epigoni della tradizione orale, quella che ancora oggi sopravvive là dove non arrivano le onde Tv magari sotto una tenda nel deserto arabico o nei pascoli sopramonte in Sardegna o in un rifugio di montagna nel Cadore. La parola come suono, come sequela, come incanto, come suggestione, per raccontare un viaggio in un singolare paese, come l’Italia, fatto di dialetti, di musiche e di immagini che non cessano mai di suscitare meraviglia.
Nello spettacolo che ha inaugurato la serie di “Contemporanea”, la stagione di prosa tradizionalmente dedicata ai giovani dall’assessorato alla Cultura del comune di Fano, organizzata dal Tsr di Massimo Puliani, si sono riconosciuti soprattutto i viaggiatori, i ragazzi che zaino in spalla macinano chilometri su mezzi di fortuna, così come coloro che girano il mondo sulle pagine di un libro o cliccando internet; mentre gli “stanziali” coloro che non hanno mai varcato i confini della loro regione, non hanno potuto fare a meno di lasciarsi catturare dal fascino di un racconto che sublima (in senso chimico) un concentrato di storia attualissima, di geografia fisica e umana e di analisi sociale.
Paolini corre su e giù per la penisola evocando gli aspetti forse più banali della nostra esistenza, riuscendo però a trarre da essi tanti motivi di riflessione, spesso esorcizzando la rabbia con uno spiccato senso dell’ironia: come quello che pone una divisione netta tra gli uomini e i commercialisti, come se questi ultimi fossero una razza a parte, ultima propaggine di un sistema fiscale che impone al contribuente anche una tassa (la parcella del professionista) sulla compilazione della denuncia dei redditi. “Siamo uomini o commercialisti?” canta Paolini sulle note di un moderna ballata che raccorda la tradizione popolare, quella che affonda le sue radici nel profondo del medioevo, da cui sono emersi i cantastorie.
Un’epoca questa in cui sono comparsi anche i primi bestiari. Allora per decorare i portali gotici delle chiese o i capitelli delle loro navate interne di animali esotici o fantastici.
Oggi il campionario di Paolini parla di altre “bestie”, dove forse le più umane sono i cani del gas: quei pastori tedeschi che fanno compagnia ai gestori dei distributori del gas metano, condannati a vivere in una periferia introvabile di una geografia conosciuta soltanto da una schiera eroica di automobilisti.
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