Il teatro come contro-informazione, o più semplicemente come informazione, come presa di coscienza collettiva. Far conoscere per far capire, per fare elaborare un pensiero critico: impresa difficile che riesce bene a Marco Paolini come riusciva bene ai giullari di strada nel Medio Evo considerati «giornali viventi», controinformazione in carne ed ossa. Così, con la motivazione di sempre, con l'indignazione di sempre, con la grinta di sempre Paolini racconta. E questa volta, in «Parlamento chimico - Storie di plastica» scritto con Francesco Niccolini, racconta di una tragedia che ha come protagonisti da una parte gli operai del polo petrolchimico di Porto Marghera morti di cancro e, dall'altra, un intero sistema di sviluppo e i mille volti del potere della nostra storia recente, da Eugenio Cefis a Cuccia, da Gianni De Michelis a Volpi di Misurata, da Enrico Mattei a Raoul Gardini, da Lorenzo Necci a Cusani. Filo rosso che lega questi mondi è l'operaio Gabriele Bertolozzo, ecologista e «testone» che ha raccolto un dossier su quelle morti e lo ha portato al giudice Felice Casson. E da lì incomincia un percorso lunghissimo, ci si addentra in un ginepraio difficile da attraversare, un panorama inquietante nel quale spicca il fatto che esseri umani sono morti e non ci sono responsabili. O responsabile è un intero modello di sviluppo: difficile processarlo! Paolini nel suo «non spettacolo» rovescia sullo spettatore valanghe di fatti, di nomi, di riflessioni. È un giullare senza lazzi e frizzi che offre la possibilità di uno scatto di coscienza ma nessuna soluzione, offre materia su cui riflettere ma non giudizi finali: questa storia di plastica, di morte e di potere è, purtroppo, ancora una storia in divenire.
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