Cinquantacinque minuti da meditazione, che occupano un posto a parte nella giornata festivaliera, sono costituiti dal film: “Ritratti - Mario Rigoni Stern”. Carlo Mazzacurati, dietro la macchina da presa, e Marco Paolini, davanti, sono andati a trovare nel febbraio scorso sull’Altopiano di Asiago l’autore di “Il sergente nella neve”. Hanno preferito girare in bianco e nero perché quello è il colore dei ricordi d’epoca; e sulle prime il “vecio” ha accettato il dialogo con qualche riserva, ricordando che ai tempi della sua infanzia “chi aveva fatto la guerra mondiale non ne parlava”. Ben presto, però, Mario e Marco passano dal lei al tu e l’intervistato fa rivivere eventi e traumi che gli costeranno (lo confessa più avanti) una notte insonne. La tristezza degli alpini il giorno del fatale discorso di Mussolini, il disagio di vivere come aggressori le campagne di Albania e Russia, la tremenda ritirata dal Don, il campo di prigionia; e la spontanea nascita della vocazione di scrittore in un pacco di appunti conservati nello zaino. “Sopravvissuto, non reduce”, Rigoni guarda ai voli delle pernici bianche come fossero le anime dei tanti commilitoni caduti e indugia sul rapporto con le api, sulle caratteristiche degli alberi che ama: i larici delle sue montagne, le betulle della Russia. Parla dei quadri di Jacopo da Bassano, che anticipò le fisionomie dei suoi compaesani; e quando comincia a nevicare sciorina tutti i nomi che i montanari danno ai diversi tipi di neve. Poi ricorda senza astio l’epoca in cui i professori leggevano i suoi libri “con la matita rossa e blu” e quando la pellicola arriva in fondo, tutti in sala vorrebbero che continuasse per restare ancora in compagnia di questo saggio nutrito di tali esperienze di vita. […]
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