La metafora del viaggio è spesso insita nel discorso musicale e nel jazz diventa mito e ossessione: l'ansia di lasciare l'oggi con la speranza di trovare Itaca. Così l'impresa, temeraria, di Giorgio Gaslini e Uri Caine non sembra velleitaria. Si sa che dare suoni alle parole - in questo caso a quella acidule di Paolini - può scivolare nella banalità o perlomeno in quella musica tappezzeria di cui parla Satie, ma i due eroi di questo viaggio musicale visionario non si sono lasciati sedurre dai giochi del racconto e hanno preferito «narrare» a loro volta attraverso un intreccio di suoni legati a una realtà fuori dal mito. Così i due gruppi musicali si sono confrontati su due palchi lontani: la prua e la poppa dell'immaginaria nave di Ulisse. Con tematiche e linguaggi diversi. Ha cominciato Gaslini con una lunga suite articolata in sei episodi. Musica corposa, forse anche un po' troppo pensosa, ma ricca di spunti vivaci, di trovate melodiche tra sogno e realtà. Già nella formazione del suo gruppo si possono scorgere i semi di questo continuo gioco fra verità e sogno: il contrabbasso profondo articolato e dinamico di Roberto Bonati colma spazi sotto le note vibratili della marimba di Daniele Di Gregorio. Le fantasiose percussioni di Roberto Dani creano atmosfere allucinanti sotto le acide sonorità dei sassofoni di Achille Succi. Poi c'è il piano di Gaslini dai toni sanguigni.
Diverso il tema svolto da Uri Caine ed anche in questo caso la formazione che ha voluto è il segno di una scelta precisa: la batteria di Jim Black precisa, puntigliosa; tradizionali il sassofono e i marchingegni elettronici di Dave Binney a sottolineare le fratture intertemporali fra l'Ulisse della mitologia e quello di oggi, viandante in un mondo sconsolato. Uri Caine maestro dell'invenzione, del pasticcio, della casualità. Prima alla tastiera elettrica e poi al gran coda intento a proporre una realtà concitata come le strade della sua New York. Poi il gran finale con i due pianisti che si confrontano: Gaslini lancia un suo tema, Caine risponde improvvisando e il dialogo si fa fitto, a dimostrare che Ulisse è arrivato a casa, ma che il viaggio di ciascuno di noi, quello interiore, non giungerà mai all'Itaca promessa
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