Straordinaria serata di narrazione a Carsulae (Terni) con molti riferimenti attuali
Prima c’è Terni, grande città industriale. Quattro chilometri più in là Cesi, un paesino che sembra un sogno di Aldo Palazzeschi. Ancora qualche chilometro, poche curve a salire ed ecco Carsulae: un avvallamento nel quale permangono le rovine di una città costruita dai romani nel terzo secolo avanti Cristo. La rammenta Tacito, vi era un teatro, vi era un anfiteatro, per lotte tra gladiatori e naumachie, vi è l’arco di San Damiano. In questo luogo di per sé meraviglioso, nello spazio di una grande piana, sono stati costruiti da Arnaldo Pomodoro due palchi distanti l’uno dall’altro (li ho contati) 70 passi: in mezzo una sequenza di panche su cui siede uno dei pubblici più fervidi in cui mi sia imbattuto. La serata è fredda: è scioccante passare dai quarantadue gradi di Roma ai diciotto di Carsulae, per nulla attrezzati.
Eppure, sia la musica di Giorgio Gaslini e Uri Caine, sia la performance di Marco Paolini rendono la serata bellissima. Comincia Paolini. Si presenta sul palco di Uri Caine. Dice d’essere uno di quegli artisti di strada poco amati dagli italiani. E’ un povero cieco, ma non è scemo: e comincia a raccontare, a modo suo, la storia di U-Ulisse.
Questo suo modo si chiarirà con il tempo. In specie nel momento spettacolarmente più alto della serata. Tra un pezzo di Caine e uno di Gaslini, dal fianco destro di noi spettatori arriva un fascio di luce. Sono onde di luci semoventi, ghirigori, arabeschi proiettati sugli alberi che si frappongono tra il pubblico e le rovine di Carsulae. Anche gli alberi, come quelli del Macbeth , sembrano fluttuare nello spazio. Ne esce un alto trattore, a pala sollevata; e lassù, sulla pala, tra due arboscelli, c’è lui, Paolini, il cieco narratore; o il narratore finto-cieco, uno di quei narratori che si divertono a barare.
E che fa Paolini se non barare? Sembra che stia riassumendo la storia già raccontata da Omero. In realtà ne racconta un’altra, moderna, di cui si captano i riferimenti alla contemporaneità. «La caverna di Polifemo era chiusa», dice. «Ma non avevamo la password». Oppure: «Scrissi: Nessuno.punto.It. - It come Itaca - questo non lo specificai». O ancora: «Hermès mi aiutò a sedurre la Maga, era un dio profumo di inganno». O ancora, di nuovo sul palco di Uri Caine: «Tornò da sua moglie Penelope-Cruz: una buona ragione perché tornasse dovevo farvela immaginare».
Naturalmente Paolini scherza. Il suo non è che un gioco. Non è che una parodia. Ma quanta eleganza nel racconto; e quanta sofisticata passione nella umbra notte di Carsulae!
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