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CORRIERE DELLE ALPI – L’INCONTRO TRA TEATRO E LETTERATURA

Nel teatro verde dei prati di Asiago, sotto l'imponente sacrario e un cielo che ha trattenuto la pioggia, nel silenzio religioso della natura e dei morti, un'ora e mezza di monologo, tratto da Il sergente nella neve, ha catturato e commosso oltre duemila spettatori. Un omaggio di Marco Paolini agli 85 anni di Mario Rigoni Stern e una denuncia della guerra, di quella, e di tutte, perche' la guerra e' sempre uguale: terribile, devastante e tragicomica, e quindi ancora piu' insensata. Che senso ha - si chiede infatti ad un certo punto Paolini - sergente - andare a invadere le terre altrui e pensare di avere vita facile, che senso ha spartirsi l'Europa, mi ciape la Polonia, mi l'Albania, la Grecia, la Russia? Domande pericolose, perche' a dare la risposta, quella vera, si rischia di impazzire. Come il biondino, lo studente, che della guerra non vuol piu' saperne e sovrappone alle immagini di morte quelle di casa, un don Chisciotte alla rovescia che non vede piu' i giganti, ma pacifici mulini a vento. Ma il nemico c'e', ed e' a casa sua, deciso a difenderla. A volte e' ragionevole e osserva le regole implicite: non sparare la mattina prima di colazione, a volte non risparmia colpi, i 73 della potente Katyusha. Possibile che nessuno arrivi a destinazione? Possibile. Un caso? Dall'altra parte si risponde con i 91 che fanno flick, con le bombe a mano che nella neve fanno puff. Una guerra stracciona, insomma, e pensare che era certo che si sarebbero spezzate le reni al nemico. Ma nella quotidianita' di quella guerra, nella vita "in tana", puzzolente e pidocchiosa, nella babele dei dialetti che all'improvviso s'intendono, al cameratismo subentra l'amicizia, la solidarieta' tra uomini, quelli che nonostante tutto continuano testardamente a resistere all'imbarbarimento, che si sdoppiano per restare sani, il corpo di la', la mente di qua, che pensano a casa ma senza troppa nostalgia. La nostalgia  pericolosa, paralizza. Cosi', dopo averle lette, le lettere della madre, della morosa diventano cartine da tabacco, buone da fumare nei momenti morti, quando non riesci piu' a dormire, eppure lo vorresti, quando tra testa e corpo scatta quel corto circuito, quel "conflitto di classe organico" che porta allo sfinimento, a perdere la nozione di tempo e di spazio."Dov'e' l'Italia?" chiede qualcuno guardando quel biancore infinito. la', e' la', e' la'. Meglio trovarsi un'occupazione allora: spidocchiarsi vicino alla stufa, gettare il pidocchio sulla piastra rovente, guardarlo con perversa soddisfazione diventare bianco, scoppiare. Ma il nemico e' la', sull'altra sponda del Don, e non molla. E ogni tanto i colpi dei cecchini arrivano a segno e quelli dell'artiglieria anche. E non e' colpa del soldato se e' andato a prendere la neve pulita coll'elmo e un colpo lo ha preso in piena fronte, e non e' colpa dell'altro soldato che si e' visto troncato nel braccio da una granata, mentre tu, a un passo di distanza, non hai riportato neanche un graffio. Accade, nella guerra accade, questo e altro. Anche che una donna russa ti offra una scodella di latte, anche che tu entri in un'isba piena di nemici e questi si stringano per farti sedere, per farti mangiare, e ti guardino per tutto il tempo, e mentre esci, col cucchiaio sollevato. Quando si resta uomini, puo' accadere. E puo' accadere che anche nella ritirata, morto il tenente, tu, che sei sergente maggiore, ti metta a capo dei 55 uomini rimasti e ti incaponisca, perche' te lo chiedono, a riportarli a baita, a casa. Fuori dalla sacca, dal ghiaccio, dalla neve sottile che ti entra ovunque, ti spacca la pelle, fuori dal freddo che ti ferma il sangue, col sale in tasca per condire le carcasse dei muli, e il taccuino su cui scrivere, per non dimenticare, per raccontare, semmai qualcuno sara' disposto ad ascoltarti." la cosa piu' bella che ho fatto nella mia vita" ha sempre detto Mario Rigoni Stern. Portare in salvo i suoi compagni. A Nikolajwka, l'ultima battaglia. Per modo di dire. La consegna, oramai e' salvarsi la pelle, riuscire a mangiare, a dormire, a prendere la tradotta che ti riporta in Italia. Quell'Italia che improvvisamente sai dov'e': non la'. Accanto alla storia ufficiale si accampa la memoria, e non e' memoria di eroi e di imprese gloriose, ma di uomini, di paura e di morte, di sangue vero, di pus, sputi, sperma, piscio e bestemmie lasciati sulla neve come su una sindone. A testimoniare l'assurdo, a mostrarlo una volte per tutte. Il sergente pensa che se si salvera', scavera' una tana ai piedi del larice he sa lui, nel bosco sopra casa, e stara' li', nascosto e lontano. Cosa mai si puo' pensare a 22 anni, di ritorno dall'inferno? Ma il canto, il canto delle donne attorno a un bimbo appena nato, riporteranno in lui il sentimento della vita. Sottolineato a tratti dal picchiettio di una macchina da scrivere e da brevi incursioni vocali e musicali, lo spettacolo si e' dunque chiuso sull'insopprimibile bisogno di vita, sul richiamo alla sanezza contro la tanta follia che ancora devasta il mondo.

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