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Eco di Bergamo – «Costruire cose più durature di noi»

«Costruire cose più durature di noi»

Autobiografico. Sabato Marco Paolini porta al teatro Creberg «Sani!», una riflessione sulle crisi personali e sociali. «Il filo conduttore è leggero, musicale. Ma nell’obiettivo c’è una politica che guardi oltre l’arco della vita personale»

 

di Andrea Frambrosi

 

«Un tonico contro la solitudine in forma di ballata popolare: così è stato definito lo spettacolo intitolato «Sani! Teatro fra parentesi», di e con Marco Paolini (musiche originali composte ed eseguite da Saba Anglana e Lorenzo Monguzzi, luci Michele Mescalchin, fonico Piero Chinello, direzione tecnica Marco Busetto, produzione Michela Signori, Jolefilm), che viene presentato sabato al Teatro Creberg (ore 21). Sul filo autobiografico, nelle sue storie Paolini racconta momenti di crisi piccole e grandi, personali e collettive che hanno cambiato il corso delle cose. Le crisi raccontate come occasioni, a volte prese al volo, altre volte incomprese e sprecate.

 

Il titolo ha un significato particolare? 

«È un modo di salutare che usavano i miei nonni, si usava nei luoghi dove sono cresciuto, intorno alla valle del Piave. Era un augurio: non si diceva "ciao" ma si diceva "sani". II titolo è nato anche perché questo era lo spettacolo per ricominciare dopo la pandemia, c'era, appunto, anche questo augurio».

 

Viene subito in mente però anche Il Gaber di «Far finta di essere sani».

«Si, lo so, ma non si può più inventare, Gaber è sempre un riferimento, tanto che c'era un suo pezzo nello spettacolo, poi l'abbiamo tolto. Perché questo spettacolo è cambiato nel tempo. All'inizio c'era, per esempio, un pezzo su Carmelo Bene che ricordava i miei inizi teatrali, adesso non c'è più. Qualche volta lo faccio come un bis ma non fa più parte della drammaturgia dello spettacolo, che si è modificato nel tempo, si è evoluto. All'inizio l'urgenza era quella di andare in scena senza troppi filtri (infatti il sottotitolo è "teatro fra parentesi"), e quindi un personaggio non me lo potevo permettere, perché avrebbe significato un po' di distanza con la platea e in quel momento mi pareva di dover andare alla comunicazione diretta. "Sani" è lo spettacolo che raccoglie in qualche maniera l'eredità del programma televisivo "La fabbrica del mondo"».

 

La scaletta dello spettacolo è composta da pezzi che parlano delle crisi.

«L'elemento crisi a volte è molto piccolo, esistono delle catastrofi personali oltre che quelle collettive come la pandemia. che era la cosa di cui non volevo parlare direttamente».

 

Non bisogna necessariamente inseguire la cronaca.

 

«Sappiamo benissimo che il teatro è anacronistico per definizione, e comunque bisogna arrivare alle cose passando dalle nostre strade che a volte sono più storte, più personali. Diciamo che la scrittura dello spettacolo ha via via messo in fila elementi di crisi climatica, di crisi politica, geopolitica, di traumi. C'è un pezzo ispirato al terremoto del Friuli, uno alla storia di Stanislav Petrov, l'uomo che ha salvato il mondo durante la Guerra fredda. Poi c'è un riferimento alla pandemia e a noi come Europa nei confronti della permanente crisi dell'immigrazione. Però se declinassi semplicemente gli argomenti verrebbe un "tema scolastico" un po' generico, se vuoi parlare di troppe cose poi ti perdi. Diciamo allora che il filo conduttore è più leggero, fatto di canzoni e racconti che in qualche maniera rappresentano i tasselli di un racconto in prima persona».

 

Lo hai definito come la «costruzione di una cattedrale».

«Il racconto sulla cattedrale è il coronamento, la cattedrale, se vogliamo, è l'obiettivo: più che la chiesa in sé, a tema c'è il pensiero da costruttori da cattedrali, cioè arrivare a un pensiero che duri un po' oltre te, cosa né facile né scontata. La chiave di tutto quello che riguarda le politiche è riuscire a immaginare una convenienza che vada un po' oltre l'arco della tua vita, senza filtri. E i filtri sono culturali, non possiamo cambiare niente del nostro comportamento, perché l'inerzia che si oppone al cambiamento è radicale, è comoda, è comprensibile. Se facciamo il confronto con le rivoluzioni scientifiche, perché una nuova teoria si affermi bisogna che muoiano quelli che sostenevano la vecchia. Il problema oggi è che sia nell'ambito della scienza che in quello delle crisi la velocità dei cambiamenti non ti concede il lusso di aspettare che muoiano quelli che ci sono già, devi fare i conti con loro, e sono ingombranti, fastidiosi, attaccati al loro passato... I giovani strillano, i vecchi scrollano le spalle. La sfida a tutto questo ovviamente può essere una reazione di due tipi: o fai il predicozzo, o fai i blocchi in tangenziale. Poi ce n'è un altro: la mia generazione viene indicata come la responsabile di ciò che sta accadendo al pianeta, credo che i messaggi generazionali siano delle semplificazioni e tuttavia è inutile nascondersi dietro un dito, se dici una cosa del genere poi coerentemente prova a dimostrare non solo la tua buona fede ma anche la tua efficacia. Sap- piamo che con il teatro non si cambia il mondo, che i contenuti sono zavorre pericolose, ma andiamo verso quel confine, sappiamo che c'è il rischio di farsi male: però proviamo a non rinunciare a quel teatro civile, o chiamiamolo come vogliamo, che tuttavia in questo lavoro non ha il tono dell'ora- zione o della tragedia, ma della ballata. Per questo ci sono molte canzoni, la musica ha una parte fondamentale nello spettacolo».

 

Che è stato definito come «un tonico contro contro la solitudine in forma di ballata popolare».

«Magari, se ci riesco... È una definizione che mi piace molto».

 

https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/cultura-e-spettacoli/marco-paolini-bisogna-costruire-cose-piu-durature-di-noi_1450479_11/

 

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