Lavorare non pensare. Fare non dire. Apriamo la recensione di Effetto domino avendo ancora in testa i verbi ricorrenti del film di Alessandro Rossetto: fare, lavorare, costruire. Un'ossessione, una litania, una filosofia di vita devota al pragmatismo. È il mantra degli imprenditori del nostro Nord-Est, ambientazione imprecisata di un film crudo, duro, spietato. Perché nonostante luoghi, accenti e inflessioni abbiano una connotazione locale (veneta, per lo più), Effetto domino riesce ad allargare i suoi orizzonti, ad abbracciare il disincanto di un'Italia in cui costruire qualcosa di sano è pura utopia.
Attraversato da un perenne senso di sfiducia, il film di Rossetto è un impietoso spaccato di realtà che sbircia con sguardo severo nel marcio dell'imprenditoria italiana. Lontano da un compiaciuto pessimismo, il regista padovano adotta un approccio realistico e asciutto, confermando il suo approccio antropologico ai microcosmi familiari.
Presentato Fuori Concorso nella sezione Sconfini della Mostra del Cinema di Venezia 2019, Effetto domino è un triste presagio di fallimento sin dal titolo. Un'opera cinica in cui è impossibile scorgere spiragli di speranza.
Colori freddi, umido nelle ossa, cielo perennemente plumbeo. Siamo immersi dentro un Nord-Est dal glaciale aspetto quasi balcanico, dominato da detriti e palazzi svuotati Qui l'impresario Gianni Colombo fiuta l'affare della vita: rilevare un complesso di decadenti hotel ormai inutilizzati per ristrutturale come lussuose residenze per anziani facoltosi.
Un'impresa vera e propria che Gianni non può compiere certo da solo. Così decide di coinvolgere anche Franco, un ex muratore che si è guadagnato una vita normale con la fatica e con il sudore. Ha così inizio un'avventura imprenditoriale nata sulle ali dell'entusiasmo, destinata a sfociare in un mare dove la differenza tra squali e pesci piccoli fa la differenza. Ispirato all'omonimo romanzo di Romolo Bugaro, Effetto Domino semina amarezza ovunque, soprattutto quando racconta di un Paese, il nostro, in cui l'imprenditoria viene incoraggiata più dalla morte che dalla vita. L'idea di contrapporre una casa di riposo a un luogo vitale come un hotel è semplice quanto vincente, emblematica di una classe dirigente cinica e avara di prospettive. Inevitabile che questo business della morte premi la sopraffazione e inibisca l'onestà, avvantaggi le scorciatoie e ammazzi sul nascere la lungimiranza.
Effetto domino è la seconda opera di finzione diretta da Alessandro Rossetto, un regista che si è sempre dedicato al documentario. Il suo taglio documentaristico emerge anche qui. Perché al di là della voce fuori campo, che funge da narratore onnisciente, il film predilige pochi dialoghi, sempre credibili, asciutti, essenziali. Anche grazie all'uso del dialetto, Effetto domino riesce a calare lo spettatore in un ambiente aderente al vero, malsano, inospitale, abitato da marionette e burattini. Rossetto ci racconta un universo maschile ossessionato dalla necessità di agire, fare, produrre. Per questo il film celebra quasi con lirismo le sequenze in cui gli operai lavorano in cantiere. Come se un palazzo fosse un'opera d'arte da celebrare mattone dopo mattone. Peccato che tutta questa freddezza renda difficile empatizzare con la vicenda familiare al centro del racconto, ma è facile intuire un punto di vista registico volutamente distaccato e asettico. Attuale e severo, Effetto domino ribadisce la miopia di uomini incapaci di guardare davvero lontano, che sognano in verticale ma non sanno dare forma a veri orizzonti.
In questa recensione di Effetto domino abbiamo lodato la seconda opera di finzione di Alessandro Rossetto, esperto documentarista. Il suo è uno sguardo severo, freddo e disincantato sull'imprenditoria del Nord-Est italiano, un habitat dove sguazzano squali e pesci piccoli. Una storia corale in cui si avverte una mancanza di lungimiranza purtroppo molto attuale e familiare alla nostra classe dirigente.
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