di Giandomenico Cortese
Proprio il termine «coscienza» credo li possa abbinare. Qualche giorno fa, Federico Faggin, intervenendo a «Giù la maschera», su Radio1, ha rilanciato la sfida: la scienza incontri la spiritualità per il rinascimento dell’umanità. «Temo che il mondo sia sull’orlo della rovina soprattutto a causa del materialismo: ha seminato l’idea che ognuno di noi sia una macchina – ha detto Faggin - completamente separata dalle altre, senza libero arbitrio, e che la coscienza sia un epifenomeno del cervello. Questa ideologia ci ha resi deboli e manipolabili». Riflessione che, partita da lontano, ha prodotto alcuni libri, l’ultimo dei quali, si intitola «Oltre l’invisibile». Per dare senso e natura al motore che c’è dentro di noi, che infiamma, scalda e genera vita Faggin, in questo saggio, nel definire la «teoria del tutto», si è avvalso della collaborazione del fisico Giacomo D’Ariano.
Il professor Faggin, mai privo di umorismo, parte dal senso di umiltà per guardare oltre. Confessa e motiva: «Non ero contento di me stesso, non sapevo perché. Ho speso anni per rendermi conto di aver trascurato me stesso. Non ero mai dov’ero, in realtà. La mia mente stava sempre più avanti, fuori di me, non mi sentivo a casa mia. Ho capito che ero io a crearmi ostacoli. Superficiale la valutazione che avevo della felicità. Felicità, invece, è essere chi sei, dove sei, capire dove devi essere, capire il che cosa devi fare a questo mondo. Non altro. E’ stata una felice esperienza di coscienza». E’ il processo di autocoscienza che nutre il nostro futuro, individuale e collettivo, e porta ad individuare – dice Faggin – i canoni giusti per ciascuno.
Percorso lungo, certo, fondamentale per giungere alla consapevolezza che ogni pensiero ed azione parte dall’interrogare la coscienza e dall’attivare il libero arbitrio.
La parola «coscienza» purtroppo è passata di moda. Va recuperata, oltre l’appagamento del materialismo. Curioso che perfino Giorgio Gaber abbia definito la coscienza un salvagente, a livello individuale, o un canotto, a livello collettivo. Da valutare: l’interiorità è fatta di significati, l’esteriorità si aggrappa ai simboli. Di qui l’elogio della meditazione, il modo migliore per quietare la nostra mente e incominciare a capire cosa ci è utile, prestando attenzione, non scacciando soltanto gli elementi negativi, per migliorare e cercare armonia, trovare attenzione. E l’intelligenza artificiale nel nostro futuro? Non c’è ancora un computer consapevole, dice Faggin. Dovremmo guardarla con consapevole sospetto. Essa non produce azioni coraggiose, né emozioni, né comprensione, né intuizioni. Sarà senz’altro una forza da contendere. E affinché sia prevalentemente positiva dobbiamo capire prima chi siamo noi.
L’IA - per Faggin - non capisce nulla ma può creare informazioni superficiali, utili, certo ci fa risparmiare tempo. Ha bisogno sempre della nostra consapevolezza. Ribadito che la creatività è salvezza, altra questione - per il professor Faggin - è il rapporto con l’evoluzione. «Non credo al darwinismo. Io credo alla evoluzione non derivata dalla casualità, quanto piuttosto dal bisogno di conoscere noi stessi e motivarci secondo coscienza, usando il libero arbitrio». La conclusione di Faggin: «Secondo me ci sono tutte le premesse per un nuovo Rinascimento, capace di riaccendere la consapevolezza più profonda della nostra stessa natura».
Su Charles Darwin (Shrewsburry, 12 febbraio 1809 - Londra, 19 aprile del 1882), e l’evoluzione, per una rilettura de «L’origine delle specie» (1859), le teorie di un eretico cortese, ha qualcosa da suggerirci Marco Paolini, a cui non bastano le letture, ieri, sulle tragedie del Vajont o quelle di oggi, destinate a scuotere le menti degli spettatori su «Mar de Molada, storie di crode, rive, grave, palù, arzeri, valli, idrovore, acqua e terra, tra Venezia e il Piave». Da narratore realistico di una difficile contemporaneità, qual è, propone un graffiante racconto-laboratorio, ad interpretare il «Darwin di mezzo», biologo, naturalista, prete mancato, geologo ed esploratore britannico, padre di dieci figli, e suggerisce di soffermarsi sulle «Latitudini» del nostro pensiero rispetto al suo, in fondo a interrogarci ancora su scienza e fede. Dissertare sulle teorie di Darwin riesce stimolante e coinvolge lo sguardo sulle occasioni del tempo avvenire, per guardare a Nordest, dove Galileo ha tenuto cattedra, dove Copernico e Newton sono stati a lungo sviscerati in ogni dettaglio. Sarà così pure per la dirompente idea di Federico Faggin, «oltre l’invisibile», o come la chiama lui, «Nosym»? Anche le suggestioni del «Darwin di mezzo» di Paolini mi paiono altra dirompente, coraggiosa proposta per trovare il punto di incontro tra scienza, coscienza e spiritualità, tutt’altro che accademiche.
Questo sito utilizza cookie tecnici, analitici e di terze parti per le sue funzionalità. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui Cookie Policy. Cliccando "Ok" su questo banner o proseguendo nella navigazione del sito acconsenti all'uso dei cookie.
Scegli a quali categorie di cookie dare il consenso. Clicca su "Salva impostazioni cookie" per confermare la tua scelta.
Scegli a quali categorie di cookie dare il consenso. Clicca su "Salva impostazioni cookie" per confermare la tua scelta.
Questo contenuto è bloccato. Per visualizzarlo devi accettare i cookie '%CC%'.