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Famiglia Cristiana – I "pezzi" di Ustica

TEATRO VERITà

In scena e in Tv l'indagine del giudice Priore

Cinquemila pagine di atti giudiziari in due ore di spettacolo: l'ha fatto Marco Paolini che, dopo il Vajont, ha voluto raccontare un'altra tragedia italiana. "La storia dell'aereo Itavia", dice, "non è completa. Ma noi non possiamo dimenticare".

"Non ho scoop, non ho fatto indagini, non c'è la soluzione finale del giallo: abbiamo soltanto cercato di spiegare un'istruttoria di cinquemila pagine in meno di due ore".

A vent'anni da quel 27 giugno 1980 quando, alle nove di sera, il DC9 dell'Itavia si inabissava nelle acque del Tirreno al largo di Ustica, portando con sé le 81 persone che erano a bordo, a vent'anni dalla nascita di uno dei misteri più inquietanti della storia italiana e alla vigilia del processo, Marco Paolini "commemora" i morti di Ustica a modo suo, ovvero salendo ancora sul palco. Lo fa il 27 giugno, a Bologna, città dalla quale era decollato l'aereo.

"I-TIGI (la sigla identificativa del volo, ndr) - Canto per Ustica", scritta dal cantastorie veneto autore del famoso monologo sulla tragedia del Vajont, assieme allo scrittore-pilota Daniele Del Giudice, con le musiche e la voce di Giovanna Marini, è un' "orazione civile", un denso e struggente monologo che traduce per gli spettatori le asperità di un'indagine complessa, ostacolata da mille depistaggi e reticenze: l'indagine conclusa dal giudice Rosario Priore nell'agosto scorso.

"Un'operazione ardua", l'ha definita Paolini: "Tenere l'attenzione del pubblico su una materia astrusa, celeste", inquadrandola nel contesto politico e militare di allora. Un tentativo di fare storia, facendo parlare quei frammenti dilaniati d'aereo riesumati dalle profondità del mare, come fossero tessere di un puzzle da ricostruire. "A questa storia, a differenza di quella di piazza Fontana, della quale ormai sappiamo tutto, mancano ancora dei pezzi. Ma un punto fermo c'è, e ce l'hanno consegnato le migliaia di pagine della sentenza-ordinanza di Priore, che sintetizzano un milione e 800 mila pagine di atti processuali, e che hanno comunque portato ad alcune consapevolezze. Da cittadino, ho letto questi atti che sono pubblici, ho cercato di capirli e, una volta compreso, ho cercato di raccontarli nel solo modo in cui sono capace. Facendo una scommessa", spiega Paolini.

- Quale?

"Che questa vicenda non riguarda poche persone, o i soli familiari delle vittime, bensì tutti i cittadini italiani, anzi tutta intera una democrazia".

- Ha l'impressione che sia difficile fare teatro impegnato, oggi ?

"Credo che ci sia soggezione nel trattare certi argomenti, come appunto Ustica. La storia italiana di questi ultimi decenni ci dice che i grandi processi con grandi imputati finiscono quasi sempre con "non luoghi a procedere" o assoluzioni: ciò ha determinato l'impossibilità di affrontare queste vicende sul piano della storia, a prescindere dall'esito giudiziario. Intendiamoci: non ho intenzione di rifare i processi fuori dalle aule giudiziarie. Ma non mi sento tranquillo: è come se fossimo intimiditi collettivamente dall'esito di questi processi. Invece che cercare, capire, ci teniamo le nostre idee precostituite ("questo è colpevole o innocente"), ma senza ridiscuterle pubblicamente insieme. In democrazia, non ci sono solo i tribunali che fanno la storia, ma anche la letteratura, il cinema, il teatro, che devono avere questo ruolo di memoria civile, di disturbo, di contropotere nei confronti dei poteri forti".

- Teatro come contro-informazione, quindi?

"Non è solo la satira ad avere questa funzione. Anzi, ci siamo accontentati troppo spesso della sola satira politica. Invece io propongo la tragedia, perché è un'altra cosa: permette di raccontare tutto l'arco di una vicenda, mentre la satira è ancora solo frammento, è uno spot tra tanti altri spot. C'è invece bisogno del respiro della tragedia, dello spazio dell'epica, per poter ritrovare i legami tra i singoli fatti, per poterli comprendere tutti".

- Qual è il senso del "Canto per Ustica"?

"Quello di fare memoria. E per farla non abbiamo cercato l'effetto. Niente nomi, per esempio: le vittime sono ricordate solo con le loro professioni. Neanche i nomi degli imputati, dei generali. Non mi piace fornire capri espiatori alla rabbia e all'indignazione del pubblico. Tutte le frasi sono vere, citate fedelmente dal testo di Priore".

- Ma una ricostruzione della vicenda lei la fa, e spiega che quella notte sul cielo di Ustica era in atto una battaglia aerea…

"Certo. Ma non do la soluzione finale. Non insisto sullo scenario degli ultimi secondi di volo del DC9, o sulle nazionalità e le bandierine degli aerei militari che incrociarono l'I-TIGI. Ripropongo solo gli elementi raccolti da Priore, che fanno capire che l'aereo dell'Itavia, quel 27 giugno, non volava da solo. Punto. Non mi lascio trascinare nel gioco cinico di tirare conclusioni, non potendolo fare. Voglio che lo spettatore senta il bisogno di andare alle fonti, di andare a cliccare in Internet e leggersi la sentenza".

- Ma, dopo vent'anni, il processo arriverà alla verità su Ustica?

"Se per verità s'intende capire tutto fino in fondo, non lo so; se significa togliere dai piedi i bugiardi, è già stato fatto. Ma, comunque, io non sono un profeta, e tantomeno voglio farlo".

- Che differenza c'è con il suo precedente lavoro sulla tragedia del Vajont?

"Semplice. Per il Vajont ho fatto io l'inchiesta, tutta la ricostruzione meticolosa della vicenda. Ne avevo il tempo. Qui sono solo cronista di un atto pubblico, la sentenza di Priore, un testo così "civile" che dovrebbe essere studiato nelle scuole. Ritengo che usare questo testo sia il migliore antidoto alla chiacchiera, al teatrino su Ustica, alle ipotesi sparate in tutti questi anni. E non è poco".

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