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Franmagazine – Marco Paolini: “proviamo a parlare di scelte, più che di cambiamenti”

Marco Paolini torna a Bolzano con il pluripremiato e plurireplicato spettacolo "ITIS Galileo". Dal 27 febbraio a 2 marzo il grande mattatore veneto sarà sul palco dello Stabile con uno spettacolo potente, che fa domande più che dare risposte. Non è stato semplice intervistarlo, ma eccoci qui.

Intervistare Marco Paolini non è impresa facile. Un po’ perché ho scoperto di avere l’opportunità di farlo poche ore prima dell’appuntamento telefonico (di sabato mattina), un po’ perché personaggi del suo calibro mettono nella giovane giornalista in erba (io) un fortissimo senso di ansia da prestazione, di panico da fallimento, di sindrome della “domanda scema”. Io adoro Marco Paolini e il suo modo di fare teatro. E questo a dirla tutta, non aiuta affatto. Perché stima, rispetto, ammirazione, non fanno che potenziare ansia, panico e sindromi giornalistiche varie. È stata dura anche perché mi è stato subito evidente che Paolini non ama le interviste, il linguaggio e i modi del giornalismo (anche se io non sono una giornalista vera, e questo potrebbe aiutare). Schivo e riservato, si presta comunque a sottostare al fuoco di fila delle mie domande curiose, con un sottofondo di campane altoatesine del mezzogiorno. La situazione è quasi irreale, sono in una corte medievale nella bassa atesina, con il telefono parlo e ascolto in viva voce, con l’ipad registro, le campane risuonano, i passanti mi guardano incuriositi e io già imbarazzata dal contesto parlo e interrogo niente di meno che Marco Paolini.

Il tema della discussione, naturalmente è ITIS Galileo, forse il suo spettacolo più noto che finalmente arriva a Bolzano. Io non vedevo l’ora succedesse, da quando è iniziato il giro dei teatri con stagioni una in fila all’altra. Ora è qui – da giovedì 27 febbraio a domenica 2 marzo – e tutti potremo godere della grandezza di Paolini, il grande mattatore.

Abbiate pazienza comunque, forse nella sindrome della “domanda scema” ci sono cascata con tutti e due i piedi. Il fatto è che tutto quel che chiedi a uno come lui lo chiedi non a scopi giornalistici, ma per pure curiosità personale. Perché vuoi sapere come la pensa Paolini della cosa. Perché – come me – hai fiducia nel suo pensiero, profondo e riflessivo. Alla fine però, nonostante qualche stoccata, è andato tutto bene. E ora sono molto orgogliosa di aver avuto l’occasione di mettere anche lui nella mia ormai grande collezione personale di interviste agli amati teatranti.

Marco Paolini, se penso a Galileo, la prima cosa che mi viene in mente è il dibattito tra scienza e fede. Nel 2014 è una questione ancora aperta? Ha ancora senso parlarne?

Non è questo in realtà l’argomento centrale dello spettacolo. Non è la contrapposizione tra fede e ragione. Galileo si trova al centro di un momento in cui tutti pensano la stessa cosa e non hanno voglia di cambiare idea, perché stanno bene dentro la cosa che pensano. All’interno di questo pensiero dominante, c’è la componente legata alla fede che è anche potere temporale della chiesa, ma non è solo quello. La questione è che l’autorità del potere viene dal libro scritto. E il libro scritto l’hanno scritto quelli prima di noi, in quel caso i greci. E dunque non si può mettere in discussione l’autorità, alla luce delle osservazioni. Il lavoro di Galileo si fa largo lentamente, dipanandosi in un mondo in cui le cose pratiche erano affidate ai maghi, visto che i medici studiavano solo sui libri e non sui malati. E quindi il ricorso alla magia era parte di una serie di espedienti pratici e di una tradizione, in un mondo che faceva spesso e volentieri affidamento su procedimenti oscuri, di cui qualcuno possedeva il segreto. Oggi noi nei confronti del pensiero razionale e della scienza siamo diventati diffidenti, ma abbiamo un rapporto quasi magico con la superstizione e anche con la tecnologia, dalla quale viene la soluzione di molti nostri problemi pratici. Tecnologia della quale tendiamo a non capire nulla ma a servircene come di una scatoletta chiusa. Dunque, mi sembra che alcuni elementi di discussione di centinaia di anni fa, non siano poi così superati oggi.

Viviamo in un tempo in cui la mediocrità la fa da padrona. E allora mi chiedo, pensando sempre a Galileo, quanto importanza ha oggi il concetto di “genio”, in contrapposizione con il mediocre dominante?

Non sono molto d’accordo con quest’accezione del genio. Galileo di certo è una mente che gioca in modo solitario, che tende ad accreditarsi in questo modo, sostenendo che un’aquila vola più lontano e più veloce di mille corvi. Ma è ben vero che i corvi se vogliono mettono in fuga l’aquila. Non me la sento di sostenere una teoria che dia al genio una funzione di contrapposizione ad altri modi di pensare né tantomeno di dare al genio un valore aggiunto. Quello che mi sembra, è che in generale ci siano intuizioni e modi di pensare che generano scatti in avanti che sono difficili da accettare, perché ci costringono a cambiare idea su qualcosa che ci siamo accomodati a pensare in tanti. A volte chi pensa controcorrente è antipatico o solo, perché il suo modo di articolare le cose ci costringe a rompere qualcosa che fino a quel momento ci sembrava solido. Galileo rappresenta un salto di continuità, che rompe con la pigrizia di un’inerzia lunghissima che viene prima di lui. E noi ci consoliamo pensando che sia passato, ma in realtà le inerzie si accumulano sempre nel tempo e anche noi diventiamo conservatori. Allora, non tanto il genio, quanto l’uso di un pensiero fatto in proprio a volte determina delle rivelazioni. “Il re è nudo”, appare a tutti come cosa chiara ed evidente dopo che il bimbo l’ha detto. Ho abbastanza fiducia nel fatto che si possa comunque utilizzare in proprio il cervello in maniera anticonformista.

Questo mi fa pensare all’importanza del dubbio, del farsi domande, del porre questioni…

Non è così facile. Sembra scontato visto che la metodologia scientifica si basa su questo e che noi culturalmente sappiamo che il dubbio è una gran bella cosa. Ma poi in pratica è difficile da usare il dubbio. È molto più facile diventare cinici e scettici. Ossia, usare un altro modo di essere privi di dubbi: negare tutto.

È questo dunque il messaggio dello spettacolo?

Diffido dei messaggi e soprattutto di chi li spiega ai giornali. Se qualcuno ha voglia di superare il pregiudizio che andare a vedere spettacolo di 2 ore su Galileo è palloso, probabilmente si troverà davanti a degli stimoli. Il teatro può essere questo. Il teatro che faccio io è un teatro molto molto semplice. Rinunciando in gran parte alla seduzione della scena e dello spettacolo totale, concentro molto nel colloquio tra la voce dell’attore e ogni singolo spettatore che ha davanti. È questo che può generare pensieri, dubbi, stimoli.E questa è una delle ragioni per le quali continuo a fare questo spettacolo per la quarta stagione di fila. Perché ogni sera misuro davanti a spettatori di diverse età, la possibilità di generare stimoli. Galileo è scomodo, ma interessante.

Ho letto che lo spettacolo inizia con 60 secondi di rivoluzione (e per “rivoluzione” in realtà lei intende il movimento che la terra compie intorno al sole…). parlando però in astratto, esiste ancora oggi una rivoluzione possibile?

Se io ne parlo con lei, faccio un piccolo trattatello sulla rivoluzione. Mentre nello spettacolo tutto questo è uno scherzo, un gioco ironico. E gli scherzi non si spiegano si fanno.

Questo che viviamo è un momento storico di cambiamenti. Che portano da un lato paura e dall’altro speranza. Lei come vede, per esempio, il futuro della cultura in Italia?

Non penso sia una domanda facile, né credo sia possibile dare una risposta geniale e sintetica. Io non so se i cambiamenti di cui parla siano speranze o timori, perché noi in realtà stiamo cambiando molto poco. Le cose intorno a noi cambiano molto più velocemente di quanto cambiamo noi. Nel cambiamento abbiamo sempre la sensazione e la preoccupazione di avere molto da perdere. In qualche modo credo che Galileo rappresenti una sfida a cambiare anche le proprie idee e non solo ad accettare i cambiamenti imposti dall’economia, dalla crisi, dalla politica internazionale, dall’evoluzione tecnologica. Tutte cose che si tendono a subire. Se provassimo a usare la parola scegliere invece che la parola cambiare? Sarebbe molto più interessante.

La contingenza fresca fresca dell’attualità politica italiana vede un cambio ai vertici. Renzi, per dirne una, è stato uno dei pochi che ha usato per promuoversi (perché una vera e propria campagna elettorale non c’è stata) la parola cultura. Lei che ne pensa?

Mi guardo bene dal commentare la scena politica, né tantomeno l’incarico a Renzi. Anche i miei sentimenti rispetto a tutto questo sono ben poca cosa. Io non faccio il grillo parlante. E rispetto alle cose che ci succedono, all’attualità, cerco sempre di avere un po’ di tempo per pensare e poter scegliere quel che per me è più importante. E di non farmi dettare agenda dalle cose che si succedono giorno per giorno. Questo è un modo di ragionare da redazione di giornale, e non è il mio.

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