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Ho sognato la Thatcher

I debiti sono un'invenzione meravigliosa. E i debitori persone rilassate. I debiti sono un'assicurazione sulla vita, non ti fanno morire prima della scadenza. Paradossi? Forse. Solo che su questi paradossi è fondato il sistema che ha visto crescere (davvero?) l'economia del mondo negli ultimi trent'anni. Ci hanno spiegato che economia significa 'legge della casa'. E che se la nostra casa è diventata il mondo, allora le regole devono essere globalizzate. Io però continuo a non capire quali siano queste regole. Quando ero piccolo, a casa mia l'odore del benessere era quello dei salami e delle scarpe insieme nella grande sala che fungeva da dispensa, cantina e foresteria. Era odore di cose concrete, che facevano la qualità della vita. E i 'poàreti', quelli che venivano da mio nonno a chiedere un po' di cibo, erano quelli che non potevano permettersi quell'odore. Oggi di 'poàreto' non c'è più nessuno. E la qualità della vita all'occidentale è un must. Ma come è possibile, mi chiedo io, che tutti ci possiamo permettere tutto? Con le rate. Una grande invenzione, che ci permette un tenore di vita superiore a quello che potremmo permetterci. Ecco, i figli di oggi vivono meglio di noi da bambini. Perché con le rate possiamo offrire loro standard impensabili per i nostri genitori. Non importa se il nostro diritto di proprietà è solo sulla portiera dell'auto, sui cestelli della lavastoviglie, sui bulloni di un computer. Quello che conta è che noi, tutte queste cose, possiamo usarle. Il buon esempio ce lo dà uno Stato, che fa crescere il debito pubblico spendendo soldi che non ha. Sembra che l'economia stia scivolando verso la 'virtualizzazione'. Non ha attinenza con la dimensione domestica, con i bisogni reali. E non parlo solo della grande finanza, parlo della trasformazione dei cittadini in consumatori che solo acquistando beni e servizi, scarpe e wellness, emozioni e vestiti, possono far crescere il Pil. Alla ricchezza virtuale corrisponde un impoverimento sostanziale. Siamo un po' tutti miserabili, culturalmente più che economicamente, perché abbiamo scelto di abdicare ad ogni scelta per affidare al Mercato i progetti per il nostro futuro.
Così è nato 'Miserabili'. È uno spettacolo, non una analisi di teorie economiche, e si confronta con le persone e con il loro rapporto con l'onnipotenza del Mercato. L'interlocutore invisibile è lei, la signora Thatcher. Sì, proprio la 'rivoluzionaria' Maggie, che ha inventato il superamento delle classi sociali dicendo: la società non esiste più, siamo tutti solo 'uomini donne famiglie'. Ovvero consumatori. Di energia e di benessere, di libri e di vacanze, di automobili e di hamburger. E siamo tutti investitori, ancora prima che risparmiatori.
D'altra parte, se il buon samaritano non avesse avuto un budget per le spese impreviste, chi si ricorderebbe di lui? E allora è bene compiere buone azioni, ma soprattutto comprare buone azioni! Le buone azioni non hanno mai ucciso nessuno, così disse Gesù tornando nel tempio a chiedere scusa ai Mercanti secondo il vangelo di Maggie Thatcher. È la finanza creativa, che è cresciuta come un tumore scommettendo sulla teoria per cui tutto si può vendere e comprare. E noi? Cosa siamo noi? Consumiamo e investiamo da soli. Siamo individui senza una comunità alle spalle. Così, soli tra soli, ci siamo scoperti inadeguati davanti alla crisi che ha investito l'economia globale. E io mi sono trovato a dover ripensare 'Miserabili', con i problemi che molti pronosticavano divenuti realtà. Ci siamo chiesti: è tardi? Siamo troppo oltre per poter riparare ai danni?
La legge dell'entropia ci dice che indietro non si torna. Credo però che oggi dovremmo rifondare una cultura della manutenzione. Perché è inutile mitizzare i 'bei tempi andati'. Non credo nelle oasi, ma preferisco i luoghi che abitiamo e che dovremmo cercare di rendere più vivibili.
Il 9 novembre 2009 - la sera in cui abbiamo scelto di collocare la diretta di 'Miserabili' su La7 - è l'anniversario ventennale dalla caduta del Muro di Berlino. È un momento che ha segnato la storia. Quella data per molti nuovi europei dell'Est, così come per la gente dell'ex Unione Sovietica, significa lo spartiacque tra il prima e il dopo, ovvero l'avvento di quel grande luna park che è il Mercato. Solo che oggi, di là, molti si chiedono se la cuccagna del Mercato non sia troppo invadente. A noi invece manca quel momento di passaggio tra il prima e il dopo. Con Berlino 1989 noi abbiamo proseguito sulla via tracciata dalla coppia Thatcher-Reagan dal 1979: la via del Mercato. Ho chiesto alla Lady di Ferro: lo sa che, di tutto quello che passa in un giorno alla Borsa, l'1 per cento si investe davvero, mentre il resto si passa di mano, domani riprende a girare? Non mi ha risposto. Così abbiamo pensato di portare la diretta di 'Miserabili' nel porto di Taranto. In quel posto è come a Marghera, vicino a dove vivo io: di sera sembra Blade Runner. Siamo sul tacco dell'Italia. E non siamo nemmeno sulla terraferma. Siamo in mezzo ai container su una piattaforma che si allunga sul mare. Da una parte c'è il porto, la porta dell'Europa dalla quale entrano le merci dall'Oriente. Dall'altra c'è l'Ilva, icona della old economy, quella economia pesante che oggi sembra in via di estinzione. Insomma, siamo in mezzo ai mondi in movimento, siamo in un punto focale per l'economia del Sud e nell'area dove si registra la maggiore concentrazione di agenti inquinanti d'Europa (anidride carbonica, ma anche diossina).

Taranto è un nodo di contraddizioni ed è, forse, lo specchio dell'universo che ci ruota attorno. Però non abbiamo scelto Taranto perché è un simbolo, una città-porto, un'area industriale dalla storia controversa. L'abbiamo scelta perché volevamo scendere a Sud, rovesciando la prospettiva. Volevamo provare a guardare dal mare la crisi che colpisce la terra. Che colpisce il Nord Europa come l'Africa, la Svezia come la Bolivia, il Veneto, la Puglia e il Canada. E provare a interrogarci. Possiamo fare un po' di manutenzione di questo nostro mondo?
Ho il dovere di sperarlo e di esser contagioso, a questo serve la cultura. L'unico modo di combattere la paura di tanti è costruire speranze non solo per pochi. Di speranze parlano anche economia e politica, ma spesso sono previsioni che se non succedono generano delusioni. Non sono un illuso e anche se la politica (e l'economia) spesso mi hanno deluso, non credo si possa farne a meno. Però degli illusionisti in economia e in politica si può fare a meno, basta imparare a riconoscerli. Credere nell'enalotto non è coltivare una speranza, ma affidarsi a una probabilità assurdamente piccola . Quando Reagan diceva: "Voglio un paese in cui per tutti ci sia la libertà di diventare ricchi", sapeva che offriva a ciascuno le probabilità dell'enalotto. La speranza venduta al mercato è roba che scade subito e fa male. È importante non lasciar manipolare le parole. Il teatro può ridare significato, a condizione di essere credibile e comprensibile. La speranza e la paura non sono esclusive, ma coinvolgono trasversalmente. Solo che la paura è passiva, la speranza va coltivata. Questo è secondo me il senso del Nobel per la pace a Obama: un riconoscimento a chi incarna una speranza per tanti e un monito a chi pensa che si possa fare senza la politica. La paura è un componente essenziale della nuova miseria, con l'intolleranza e la solitudine. Un destino da cui non si esce da soli. La società così inutile alla signora Thatcher diventa la speranza per affrontare questa miseria che non dipende dal portafoglio pieno o vuoto.
Da cosa si parte? Dalla Costituzione certo, ma non ci si può fermare lì. Oggi non è vero che questa sia ancora una Repubblica fondata sul lavoro. Su cosa ci stiamo fondando dunque? Non ho risposte semplici, ma non smetto di pensarci.

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