Alza l'asticella Marco Paolini. Come quei campioni che provano la misura record, nello stupore di chi li osserva ammirato, e volano su in alto: il corpo più leggero dell'aria. Temerariamente, una lezione di fisica in tv: “ITIS Galileo” (La7, mercoledì 25 aprile, 21.15). Didattica teatrale della scienza dei numeri e della natura, nel passaggio drammatico fra la vecchia e la nuova concezione del mondo. Quattrocento anni fa. Non proprio, come si dice, sulla notizia. Ma è l'inattualità che rende preziosa la cultura. Chi avesse perso lo spettacolo potrebbe sempre dire, come un ragazzo svogliato e un po’ ottuso: “Tanto, a che serve ‘a matematica! ” Chi al contrario lo avesse guardato si sentirebbe più ricco e più curioso: di capire, di approfondire. “Non esistono vie regie per la matematica”: sembra che così Euclide abbia risposto polemicamente al sovrano d'Egitto, che voleva educarsi alla scienza del maestro, facilmente: non ci sono canali privilegiati per questa disciplina. Paolini sfida la massima, nel tono e nel linguaggio. Che si abbassano per comunicare la materia ostica a un pubblico ampio. Il tema non è di carattere politico o ideologico, non sono in gioco il celebre processo a Galileo e l'abiura conseguente, ma i fondamenti stessi della conoscenza. In termini professorali: la relazione fra il pensiero razionalistico-deduttivo di estrazione aristotelica e quello induttivo-sperimentale, galileiano. La rivoluzione, quella vera. Che nasce dalla diffidenza, dalla spregiudicatezza e dallo spirito d'osservazione. Uno spettacolo “artigiano e partigiano”, sotto 1400 metri di roccia, nei laboratori del Gran Sasso: i più grandi del mondo, per lo studio delle particelle più piccole. Un solo esempio, fra i tanti, della tecnica utilizzata. Per spiegare il travaglio del rapporto fra il vecchio e il nuovo modo di concepire la conoscenza, l'autore e interprete descrive un insegnante di anatomia, in un bozzetto caricaturale, che spiega il corpo umano utilizzando le tavole dei Greci, avendo sotto di sé un cadavere dissezionato. E di fronte all’evidenza di un organo che si riscontra in una posizione diversa rispetto a quella indicata dai testi, ne deduce che “quel corpo è deforme”. “Il libro è la verità e la realtà per cortesia si adegui”.
È l’Ipse dixit utilizzato a proposito del Maestro. Prima Pitagora e poi Aristotele. L'ha detto lui. Quindi ha un valore sacro, inviolabile. È il principio d'autorità che ha retto la storia del pensiero occidentale per secoli. E che è sempre dietro l'angolo, se ci si impigrisce. Come dichiara ironicamente Paolini: “Ma chi l'ha mai letto Galileo! ”
Forse è così. Ma nel recente passato no. Risale agli anni Sessanta una polemica tra Cassola e Calvino. Quest'ultimo aveva osato dichiarare Galileo il più grande scrittore italiano. Cassola rispose piccato: e Dante? Una “querelle” letteraria sul valore della poesia dantesca in rapporto alla prosa galileiana. Oggi nel clima di ilare disimpegno si è portati quasi a ostentare la noia verso gli autori “alti”. E forse anche contro questa deriva molto a la page lavora Paolini. Che ha l'abilità di rendere leggeri i pesi, liberandoli dalla gravità. Non dal senso. E nemmeno dallo share: un prodigioso 5.73 per cento.
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