Un meritato successo con il terzo album “Liberi tutti”
TEATRO/Marco Paolini conclude a Codroipo la trilogia
Avevamo lasciato Marco Paolini l'altra sera a San Vito al Tagliamento alle prese con i ricordi della fanciullezza, quando bastava un pallone in un campetto di periferia per essere felici. L'abbiamo incontrato nuovamente martedì sera nel teatro di Codroipo per l'ultimo capitolo della sua trilogia: «Liberi tutti», dedicato agli anni a cavallo fra i Sessanta e i Settanta, quando per Nicola (il protagonista) e i suoi amici arriva l'adolescenza.
E con l'adolescenza, complico anche il clima sociale e politico di quegli anni (non dimentichiamo che la Chiesa era alle prese con il post-Concilio, il mondo con la contestazione studentesca, l'Italia con anni bui che sembra impossibile eliminare del tutto...) arriva un progressivo cambiamento del modo di essere e di sentire di quei ragazzini. Per un nulla si vedono sotto una luce diversa cose pacifìche o date per scontate fino al giorno prima.
Di questo cambiamento progressivo, di questa voglia di crescere, ma soprattutto di «essere già grandi» Paolini da conto nel suo spettacolo, garbato e divertente come il precedente, più «teatrale» nella resa complessiva, ma forse meno spensierato. Sotto sotto si avverte che l'età dell'innocenza assoluta è finita, che i ragazzi pensano e cercano una via per affermare la propria personalità. Ecco, allora, che se prima era pacifico andare alla «Messa dei fanciulli», ora Nicola vuol restare a letto a dormire, a sognare, a fantasticare. Ma una spiegazione di questo rifiuto va pur data: è diventato «comunista». In realtà non c'è più il cappellano don Tarcisio (che sapeva prendere i ragazzi) e il parroco don Bernardo non concede nulla al nuovo che avanza. Così Nicola e gli amici, fino a quel momento fedeli chierichetti, si inventano una contestazione in sacrestia: ma lo sciopero fallisce a causa dei «chierichetti crumiri», una dura scoperta. E poi l'oratorio: si può fare teatro, ma solo Goldoni. E invece i nostri eroi vogliono fare Brecht: neanche a parlarne, come pure di certi cantanti. Nel gruppo entra Barbin Cursari: é più grande, sa cosa significano «oppressione dei poveri» e «rubare la ‘Mercede’ agli operai» (esilaranti le descrizioni); con Barbin si fa anche la prima sbronza a Capodanno; e si entra in «clandestinità» nel vagone abbandonato sulla ferrovia,
trasformato in punto d'incontro. Qui nasce un nuovo gruppo: non più di amici, ma di «compagni», anche se non ancora pronti per la «rivoluzione che avanza».
Paolini trascina il pubblico con il suo racconto (nel quale piace riconoscersi) e gli applausi ne sottolineano il successo, magari in attesa che il racconto continui: bisogna pur parlare del Vietnam!
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