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Il mio aiuto al teatro tra novità e dialogo

L’attore Marco Paolini racconta l’ultima produzione dedicata all’Europa che debutterà a Operaestate e il suo progetto per i piccoli palchi che partirà da Mira: “un confronto con il pubblico per la rinascita”.

 

Una nuova produzione e spettacoli senza cachet a sostegno di alcuni piccoli teatri. E’ questo l’impegno di Marco Paolini per risollevare il settore, e chi ci lavora, dopo i lunghi mesi di stop imposti dalla pandemia. Il suo nuovo spettacolo debutterà all’Operaestate Festival di Bassano del Grappa ed è dedicato all’Europa, mentre a Mira, nel veneziano, dove Paolini ha iniziato il suo percorso prima dell’esplosione di successo avuta con Vajont, proporrà un “Teatro tra parentesi“, una sorta di dialogo con il pubblico in quella che diventa un’esperienza di comunità. Il suo esibirsi, rinunciando al compenso, è appunto un modo per rilanciare il teatro partendo proprio dai più piccoli.

A Mira, dal 19 al 14 luglio, quindi presenta un Album di storie brevi, “tenute insieme da un filo di pensieri, storie che vengono dal mio repertorio, ma anche dell’ultimo spettacolo che non è mai andato in scena per via del coprifuoco dovuto al Covid-19“. La parola “Album”, che riporta i primi lavori di Paolini, non è stata scelta a caso, ma con la consapevolezza che questa non è una ripresa, ma un nuovo inizio.

Lo spettacolo che presenterà per la prima volta sul palco di Bassano, il 21:22 luglio, e invece intitolato “Senza confini_No border”, ed è accompagnato da musica di Monteverdi, Rebel, Marais, Vivaldi e Bach e vede in scena al fianco di Paolini, Saba Anglana, Mario Brunello e Andrea Marcon. Uno spettacolo che si intreccia alla Follia che è stata ispirazione per i più grandi compositori europei - da Corelli a Bach e Marais, da Vivaldi a Handel per arrivare alla musica del Novecento - una sorta di fill rouge capace di superare i confini ed unire l’Europa musicale.

Paolini, come si sta preparando alla ripartenza?

E’ un momento pieno di interrogativi e risposte non facili. Mi dà forza solo il pensiero che, quando toccava qualcun altro, le difficoltà erano le stesse. Ho parlato con infermiera che mi spiegava come fosse un problema all’inizio e si chiedeva in continuazione “sarò capace? E se mi infetto?”. In quei momenti un asmatico cronico come me doveva solo cercare di evitare di appesantire il sistema sanitario. Ora però tocca me e anch’io mi chiedo “sono capace, e se mi faccio attaccare addosso la depressione che incombe su tutti?”. Ecco, queste domande scompaiono quando riesci a trasformarle in un lavoro che ti motiva.

Vede che ci sia depressione tra le persone?

Quello è il sentimento di chi può permetterselo. Adesso è un momento “senza casco”. Perché abbiamo obbedito alle regole per tanto tempo e adesso vien voglia di trasgredire, come andare in moto senza casco. È liberatorio, per sentirti vivo, ma è anche da incoscienti. Si parla di un dopo guerra, che è sbagliato perché non è stata una guerra ma è stata un’esperienza totale vissuta da un pianeta. Però ci sono anche i segni pericolosi della rabbia, della disperazione di chi sente incombere la miseria. Che non è la povertà dignitosa, ma l’assenza di speranze per cui si affonda. Questo genera facilmente una rabbia sociale che si può cavalcare e non governare.

Qual è l’antidoto?

Un senso civico che permetta di tornare a costruire.

Qual è il ruolo del teatro in questa fase?

Attori, politici e preti ora possono prender la parola. Non mi piace andare in giro a vendere parole, anche se è il mio lavoro. E allora cerco di tenere a bada la tentazione di raccontare presente e passato prossimo. Cerco di pensare al futuro.

Cosa racconta quest’estate a Mira?

Ho deciso che l’unico modo di andare sul palco era fare il Filó, un raccontare dialogico. A Mira (e in altre piazze) porterò dei racconti brevi, in parte del repertorio e in parte nuovi. Per porre delle domande su questo momento e dialogare con il pubblico.

Cos’è la nuova produzione a Bassano. Come sarà?

È un progetto su base musicale. È una e vocazione dell’Europa senza confini che conosciamo, nata prima del Covid eppure ora aperta a nuove letture. Prima erano problemi che riguardavano gli altri, gli stranieri. Ora ci riguardano tutti.

Che segno ha lasciato la chiusura nelle comunità?

Si deve ricostruire una consapevolezza di comunità, ma non sarà facile… Eppure l’Europa funziona se non si coltiva la diversità, ma viene vista come un’alterità.

 

di Giambattista Marchetto

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