Il regista Baresi segue il musicista attraverso due anni di concerti, lezioni, incontri e viaggi
Mario Brunello ama avventurarsi lungo le rotte meno consuete della musica classica. "Ho studiato col mito del concertista che gira il mondo attraverso i teatri più prestigiosi", invece la musica, ora, consente altri viaggi, più curiosi e stimolanti. Da condividere col pubblico che assiste. Si può suonare nel deserto del Sahara, tra le vette delle Dolomiti, nel silenzio dell'Auditorium di Roma, o in una stanza del conservatorio davanti agli allievi, ma l'obiettivo è "far vivere" quella musica nel presente. Trasformandola in "narrazione". Ed è proprio per raccontare Brunello e la sua intensa "visione" della musica che il regista Giuseppe Baresi ha ideato e girato " In tempo ma rubato", il mediometraggio di 52 minuti in onda il giorno di Pasquetta su La7 in seconda serata (23.13) e atteso al Festival del cinema di montagna di Trento al via il 29 aprile. Prodotto dalla JoleFilm di Marco Paolini, qui anche co-protagonista accanto a guest star come Claudio Abbado, Gidon Kremer, Gustavo Dudamel, Vinicio Capossela e Danilo Rossi, "In tempo ma rubato" è un curioso viaggio nei "paesaggi" emotivi e musicali del violoncellista di Castelfranco, seguito per quasi due anni dalla macchina da presa di Baresi: "E' un film a mio avviso in grande anticipo sui tempi- avverte Brunello- che coglie in modo sincero quello che io cerco di fare da molti anni. Il titolo evoca la libertà che si deve prendere l'interprete: nelle partiture si trova spesso l'indicazione "in tempo", che contrasta con "ma rubato", che invece spinge a non andare a tempo".
Per Brunello, infatti, la musica classica non è soltanto uno spazio cui tutti possono accedere anche in modo più immediato rispetto alla musica moderna, ma è soprattutto un luogo di grande libertà creativa, che ha bisogno dell' immaginazione dell' interprete per essere trasmessa. Nel film, così, vedremo Brunello spiegare ad un allievo quanto sia necessario, suonando, andare oltre lo spartito, immaginando una storia da raccontare agli altri. Senza questi guizzi inventivi la musica perde la propria forza comunicativa. " Brunello non è solo un solista, ma è prima di tutto un interprete che racconta quello che sente e che vive" fa eco con il quale il musicista dialogherà in alcuni momenti del documentario. Non è un caso, infatti, che il narratore Paolini avverta il fascino "narrativo" di un musicista come Brunello. Durante il film, così, lo spettatore riesce a cogliere il legame tra l'esecuzione di una musica e l'immaginazione che la fa rivivere, scoprendo cosa abbia spinto Brunello ad eseguire un brano in un certo luogo e in un certo modo. "Adoro Bach- osserva Brunello- sta in cima alla mia classifica perché è la rappresentazione del suono della natura in musica". E Brunello ama suonare in immerso nella natura, siano le vette di montagna del festival come "I suoni delle Dolomiti", siano i boschi o i prati di "Arte Sella" nella Valsugana: "Da quando lì frequento, la mia vita musicale è cambiata- ammette- qui lo spettatore partecipa al tuo percorso, che non è soltanto artistico". Eccolo allora eseguire Schubert nel suo capannone "Antiruggine" aperto due anni fa Castelfranco, oppure duettare con Bach in mezzo al deserto del Sahara. "Ogni musica accompagna in un viaggio necessario- osserva il registra Baresi nelle note ci regia- e ci permette di approfondire il rapporto tra musica classica e vita". E il violoncello, il suo Maggini dei primi anni del '600, possiede una propria voce. "Perché anche il violoncello, come la musica di Brunello, è vivo, parlante. E respira".
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