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Il Gazzettino – "Mi auguro che offra un’emozione"

Parlano lo scrittore e l’attore

LIDO DI VENEZIA – Mario Rigoni Stern solleva leggermente il capo e socchiude gli occhi infastidito dal sole. Emozionato? No, sembra più incuriosito, quasi divertito dalla folla che si aggira davanti al palazzo del cinema: lui, così schivo e solitario, sfiorato da un mondo che col suo non c’entra per niente, ma che gli rotea attorno superattivo e indaffarato. Manca poco alla proiezione del suo “Ritratto”, la gente si accalca tra le transenne (ne resterà fuori parecchia) e osserva questo strano terzetto protetto da amici e parenti: Carlo Mazzacurati gioca con la figlioletta reggendola sulle spalle, Marco Paolini sorseggia una bibita parlottando con l’amico Gianfranco Bettin, il prosindaco di Mestre. Rigoni Stern sorride e guarda lontano: “Non sapevo niente di questo progetto, un giorno Mazzacurati mi ha annunciato: “Voglio fare il suo ritratto”. Io gli ho detto subito che non ne avevo voglia, non avevo tempo, ma lui mi ha risposto che non mi avrebbe rubato più di tre giorni e che sarebbe venuto con la neve. Al che ho puntualizzato: basta che non sia a Natale e neanche quando c’è gente. Così ho scelto la piana di Marcesina, c’era freddo, tanto freddo, e Paolini è riuscito a partire con le note giuste…poi ho soltanto seguito il discorso”.
Questa, per Rigoni Stern, è la prima volta in cui vede il suo “Ritratto” del tutto finito: “Spero soltanto che riesca a dare al pubblico un’emozione, nient’altro”.
Un’emozione che Marco Paolini ha già avvertito durante la registrazione del documentario: “È un lusso poter parlare con persone così straordinarie come Rigoni Stern, Meneghello e Zanzotto (ai quali sono dedicati gli altri due ritratti firmati da Mazzacurati), è un desiderio appagato. Si tratta di ritrovare persone appartate che non amano i riflettori ma che sanno parlare al loro tempo, al presente, pur essendo custodi di altri tempi”. Attenzione, però, a non trasformare questi autori in “monumento di una generazione – avverte Paolini – Evitiamo di porli su un piedistallo, perché sono “vivi” in questo presente”.

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