Tutto esaurito al Goldoni per il “Bestiario veneto” di Paolini
Un anno fa, con “Il Milione” aveva conquistato Venezia parlando di laguna. Invece la sfida che Marco Paolini ha lanciato ieri sera con la “prima” al Goldoni di “Bestiario veneto” è stata più temeraria: raccontare a gente di mare la “campagna” attraverso le voci di poeti di terra. “Ma l’altra volta gavèvo ridesto de più”, ha detto una signora alla fine dello spettacolo. È vero, ma l’operazione di “Bestiario veneto” è diversa dal viaggio del Milione. L’ha messo in chiaro lo stesso Paolini: “In questo spettacolo mi ci perdo, a volte, perché non ho una storia da raccontare”. Tuttavia l’effetto è ugualmente magico. “Bestiario veneto” nasconde dietro di sé una ricerca filologica sulle opere dei poeti veneti contemporanei. Alcuni sono stati scoperti a 40 anni anche da Paolini, altri sono stati consacrati sul palcoscenico.
Paolini parla per due ore e mezza, ma la voce non è solo la sua. Nei suoi racconti di viaggiatore dentro e sopra la “galassia pedemontana”, fatta di autostrade e capannoni, dei centri commerciali e delle villette del popolo dei “tavernicoli”, in quei frammenti si inseriscono cammei di poesie in lingua veneta. Pascutto, Calzavara, Zanzotto, Marin, Noventa e il maestro Meneghello sono le muse ispiratrici. E loro raccontano una terra che non c’è più, omologata nel paesaggio e nella lingua, travolta dal rumore di onde radio e urla confuse. Quei poeti rievocano la “éus”, la voce sussurrata degli animali che popolano il bosco, ma raccontano anche le grida infernali del “porc”, il maiale che veniva sgozzato nella stalla, immolato in un rito quasi pagano. Nel testo, compaiono anche un accenno a “Blade Runner” e un pensiero a Fabrizio De Andrè, perché la cultura – parola che Paolini si guarda bene dall’usare calandola dall’alto – non ha confini. Da parte sua il pubblico veneziano dimostra di saper affollare il “suo” teatro quando la proposta è convincente, applaudendo anche l’esecuzione musicale dei “Maistral”. E se qualcuno, da oggi, sentirà voglia di andare a leggere le pagine di Noventa, Calzavara, Pascutto, Marin, Zanzotto o Meneghello, Paolini avrà raggiunto il suo scopo, che non è solo quello di far ridere.
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