Gemona del Friuli
Non una storia ma un labirinto. Lo dice subito Marco Paolini in premessa dei suoi “Appunti foresti”, davanti alla folla gemonese di spettatori che lui preferisce salutare in altro modo: “cittadini”. Tanto per chiarire che il viaggio della terra di confine che è il teatro -il suo- andrà a zig-zag tra fantasia e patto civile, storia e gioco surreale, anche con libertà di ridere. Del resto l’argomento si presta a questa liquida fluidità. Si racconta di Venezia, infatti, sogno di pietre “lisière” sospesa a dominare il mondo un tempo, città-ricamo ora sulle acque e le isole di una laguna abitata da cocai, cormorani e bacarozzi. Città-mosaico, e ognuno se ne può ritagliare il suo pezzo di vetro di Murano e di favola. Ma qui lo sguardo è straniero, e chi sta fuori –si sa- vede di più di chi sta dentro. Nella fattispecie, il “foresto” si chiama Campagne, viene dalla diffidente solidità della terraferma, è un occhio di stupore che va a braccetto col disincanto. Catapultato da un simpatico aereo in atterraggio morbido sulla laguna in secca, cala a zoomate sempre più ravvicinate nei meandri di calli e campielli della città che respira al ritmo delle maree. E, sempre per ogni Dante che si rispetti c’è sempre un Virgilio, qui al foresto si unisce un favoloso Sambo, guida di percorsi alternativi a bordoni una scoppiettante chiatta-mototopo lungo i canali della città senza cantine. A poco a poco, via il cliché da cartolina illustrata, via i percorsi obbligati dei giapponesi intruppati verso San Marco e regolarmente spennati dagli abusivi all’erta già al Tronchetto, prende forma una Venezia ciacolona di popolo saggio e (auto)ironico, senza fretta, gente filosofa senza nostalgia di potenza né antica né di risorgente serenissima. Gliel’ha insegnato la marea –6 ore di crescita, 6 di calo- quell’arte dell’attesa. Ed è qui lezione gentile e leggere. Perché in questa scena nuda, dove Paolini prosciuga tutta la sua arte di grande affabulatore e si riduce a puro corpo e pura parola, si capisce che il tour è nato da un atto più scoperto d’amore. Magari prima che sia troppo tardi e che domani la città bellissima, affondata dai tentacoli che luccicano mostruosi da Marghera a dal Nordest mercantile, sia visitabile solo nel clone kitsch di Hotel Venetian di plastica, casinò annesso, made in Las Vegas.
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