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Il Giornale di Vicenza – Galileo, l’ostinata devozione al sapere è un soffio sulla polvere delle convenzioni

C'è un metodo infallibile per capire quando uno spettacolo funziona: dare uno sguardo ai lati della sala e vedere se lo stanno seguendo con attenzione anche le maschere e i pompieri. Puntuale, il fenomeno s'è ripetuto l'altra sera al cospetto di Marco Paolini, dimostratosi capace di trasformare pure la biografia di Galileo Galilei in una vibrante narrazione che, come dicevano i nostri nonni, "istruisce e diverte" al tempo stesso. Semplicemente ricordandoci che si tratta di uno di quei geni grazie ai quali è cambiata la storia del mondo. Troppo facile dire che lo sappiamo: più sincero è riconoscere che lo diamo per scontato, senza magari rammentare bene perché. A scuola l'abbiamo studiato di malavoglia, o ce l'hanno spiegato frettolosamente. Bene: a colmare le nostre (e le sue) lacune ha deciso di provvedere il "prof" Paolini, avendo non soltanto l'umiltà di ripassarsi per intero la materia, ma anche riuscendo ad accompagnare la propria ricerca, prima di proporcela in classe, con un elemento raro e prezioso: la capacità di stupirsi. Come un bambino di fronte al sole, alla luna, alle stelle, di fronte al brivido dell'infinito e alle strambe domande su cosa faccia cascare le robe per terra, o mantenga costante il movimento di un pendolo. Aristotele e Tolomeo, Copernico e Keplero, la fisica e la matematica, l'astronomia e il Sant'Uffizio, stavolta sono nomi e discipline in libera uscita dalle pagine dei trattati, che si mescolano alla carne e al sangue di un uomo non certo privo di difetti ma, vivaddio, campione sempre d'una ostinata devozione al sapere e di una gigantesca sfida ad acquisirne di altro, mai visto né sentito prima. Un uomo che fu contemporaneo di Shakespeare nell'esatto momento di collisione fra antico e nuovo, e dunque fratello di Amleto, e come lui emblema "moderno" perché invaso da mille domande, eroe e vittima della propria intelligenza, basata sullo scomodo beneficio del dubbio. Paradossalmente, verrebbe da dire che questo ITIS Galileo (di cui tre anni fa, a Bassano, giunse un primo abbozzo nella ricorrenza della presentazione del cannocchiale alla Serenissima, 25 agosto 1609) è "sprecato" a teatro: dovrebbe davvero girare negli istituti tecnici, nei licei, nelle università, per consentire ai ragazzi di scoprire un personaggio a loro molto affine nella voglia di rompere vecchi schemi, di dare aria alle ammuffite stanze delle accademie, di soffiare sulla polvere delle convenzioni. Anche a costo, certo, di pagarne il prezzo. Qui sta il "messaggio", se vogliamo ripescare questo dimenticato arnese da intellettuali impegnati. Per arrivare al quale, però, Paolini non si sogna nemmeno di ricorrere a passi del famoso dramma di Brecht, ma ci mette del suo, ed è un bell'andare scanzonato e confidenziale, serioso quando serve e quanto basta, energicamente acceso dalla consueta (anzi, forse ulteriormente migliorata) gamma di trascinanti risorse affabulatorie e mimiche. In un monologo che felicemente trascolora da Giordano Bruno a Wyle Coyote pur affrontando temi scottanti come i rapporti tra scienza e fede, tra scienza e potere, tra scienza e coscienza, una citazione a parte se la meritano due autentici squilli. Il primo dei quali è una strepitosa trasposizione in Commedia dell'Arte del celebre passo ove, nel Dialogo sopra i massimi sistemi, si spiega la teoria della caduta perpendicolare dei pesi nonostante la rotazione della Terra. Il secondo sta nella botta a sorpresa finale quando dalle casse acustiche, dopo un frammento di Quinta Sinfonia, esplodono le inconfondibili e liberatorie note di Roll Over Beethoven di Chuck Berry. Come a dire che pure quella del rock'n'roll fu una rivoluzione culturale in grado di ribaltare il nostro pianeta, dopo che Galileo aveva dimostrato la "rivoluzione" celeste del nostro pianeta attorno al suo astro. Marco Paolini (guarda caso nato nel 1956, lo stesso anno della scatenata canzone) si proclama così, orgogliosamente, figlio di entrambe quelle rivoluzioni. E la sua la sta conducendo sul palco. A giudicare dalle ovazioni che l'hanno salutato nel passaggio al Comunale berico (due esauriti due), i seguaci entusiasti non gli mancano nemmeno qua. A cominciare dalle maschere e dai pompieri: con tutto quello che gli passa sotto agli occhi, sono i primi a distinguere il buono dalla fuffa.

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