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Il Giornale di Vicenza- Venezia e Paolini: radiografia a parole

L’attore-autore applauditissimo a Schio.

Ironia, storia, poesia e satira in due ore di monologo.

Schio. Una voce, una briccola in mezzo al palco, ed ecco Venezia, di ieri e di oggi, sviscerata con grande poesia. Venezia ombelico del mondo, amata e coccolata, ma anche affettuosamente criticata ed oggetto di ironia: è questa la Venezia di Marco Paolini, quella presentata al Teatro Astra sotto il titolo Appunti foresti, aggiornamento di quel Milione con il quale alcuni anni fa l’attore ed autore bellunese fece parlare di sé.

Paolini non è un comico, ed anche se i suoi Appunti foresti non possono non far sorridere, ed a volte ridere apertamente, quel che emerge ad ogni battuta, ad ogni pausa, ad ogni respiro, è l’attaccamento alla città lagunare, a quel misto di terra ed acqua, miseria e nobiltà, a quegli evidenti e spesso stridenti contrasti che da sempre accompagnano la vita di Venezia e dei suoi abitanti.

Sambo è uno di questi veneziani, fatalmente abituati a muoversi nelle secche della laguna ed in quelle della vita, ad attendere l’alta marea in maniera serafica e fatalista: ed è questo che affascina Campagne, suo occasionale compagno di barca, che continua a stupirsi ai racconti di Sambo, spalanca gli occhi ed apre il cuore come un bambino alle giostre, si imbeve dei racconti del barcaiolo, guardando la vita lagunare da un’angolazione sconosciuta fino a quel momento.

Nel suo monologo in due ore, Marco Paolini dà vita ad entrambi, passando dai toni pazienti e comprensivi di Sambo a quelli ammutoliti e rispettosi di Campagne: rende viva e palpabile la differenza tra i due, giocando di voce, di pause, di sensazioni.

Il quadro che emerge dal dialogo, dalle considerazioni, dai pensieri, dalle riflessioni, dai fatti di vita e dai piccoli aneddoti che si snocciolano durante la rappresentazione, è dipinto in maniera a volte colorata e naif, a volte asciutta ed essenziale. La narrazione scivola leggere dalle strade percorse da Marco Polo alla tangenziale di Mestre, dalle originarie palafitte alle villette della terraferma, dal turismo mordi e fuggi alle reali difficoltà di chi a Venezia tenacemente continua a vivere. Uno spaccato ironico ed a volte sferzante sulle glorie e sulle ombre della Serenissima, guardate attraverso gli occhi sensibili, per quanto abituati, di Sambo, e quelli sgranati di Campagne, che seduto a prora della barca a fondo piatto prende appunti, mentre l’occasionale compagno rema e parla.

Pubblico delle grandi occasioni, quello che l’altra sera ha riempito l’Astra: pubblico che forse si aspettava di ridere come si trattasse di cabaret, ma Paolini non è un attore comico nella stretta accezione del termine. La sua prova è stata infatti quella perfettamente calibrata di un interprete maturo, che pur incespicando qualche volta nell’interminabile monologo, complice anche una palese sindrome influenzale, ha fatto riflettere e sorridere, mettendo a segno i suoi colpi ora qua ora là, ma sempre bilanciando garbo ed incisività.

La narrazione è scivolata perfettamente, senza incontrare le stecche che bloccano i due occasionali compagni di viaggio e li “costringono” ad attendere l’alta marea chiacchierando. Nessuna costrizione per il pubblico scledense, invece, che alla fine dello spettacolo ha tributato a Paolini meritati e convinti applausi.

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