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Il Giornale di Vicenza – Viva Verdi! "Il nostro Omero"

L'attore MARCO PAOLINI e il violoncellista MARIO BRUNELLO hanno confezionato uno spettacolo emozionante e coinvolgente: ha cantato il pubblico.

LONIGO
Viva Verdi! E “viva” anche a Marco Paolini e a Mario Brunello che in occasione del bicentenario della nascita del grande musicista hanno un confezionato uno spettacolo emozionante e coinvolgente, intitolato “Verdi, narrar cantando”, presentato al Comunale Lonigo per la stagione di prosa.
Anche il più puntuale degli spettatori, entrando in sala ha trovato il sipario aperto e gli attori già schierati ad attenderlo. Oltre a Paolini, in tuta da combattimento, pronto per il suo consueto assalto alle parole del testo, e a Brunello, in rigoroso abito nero da concerto, già abbracciato al fido violoncello, ci sono Stefano Nanni all'armonium e, in platea, Francesca Breschi.
Quest'ultima finge di essere la donna delle pulizie del teatro, sorpresa anche lei dall'arrivo anticipato della compagnia, che discute con Paolini su come sia giusto cantare le romanze di Verdi, se si debba rispettare rigorosamente l'assetto della partitura, studiato in ogni minimo dettaglio dal Maestro, oppure se la tradizione popolare possa pretendere di piegare verso di sé la musica, la metrica, la dinamica e le parole in un'interpretazione più libera e spontanea. E il pubblico, che si sta sedendo un po' imbarazzato, che ne pensa? Vogliamo provare a dare un esempio? Ecco allora che, avviato dalla voce limpida di Francesca, si alza dalla platea e dai palchi un coro possente e intonato che canta “Di quella pira l'orrendo foco tutte le fibre m'arse, avvampò!”.
Dietro questo inatteso exploit c'è il segreto di una prova generale tenuta qualche ora prima nel ridotto del teatro con un gruppo di coristi volontari che ora si sono infiltrati tra le poltrone e incoraggiano il pubblico a cantare, emuli moderni dei patrioti che alla Scala di Milano gettavano dal loggione i volantini tricolori con scritto “Viva Verdi”, acronimo risorgimentale di “Viva Vittorio Emanuele re d'Italia”.
Verdi e l'Italia: un binomio inscindibile. Marco Paolini gira attorno a questo concetto nel raccontare per sommi capi, divagando e affabulando come è nel suo stile, l'avventura umana e artistica di quello che lui definisce “il nostro Omero”. Parte dalla fine, da una scena del film Novecento di Bernardo Bertolucci nella quale un ubriaco barcolla in una stradina di campagna gridando: “E' morto Verdi!”, e torna all'epilogo con una stringente cronaca dei funerali del Maestro, celebrati all'alba del 30 gennaio 1901 e seguiti da una folla di 200 mila persone.
In mezzo, ci mette di tutto e di più: il rapporto burrascoso con i librettisti e in particolare con il muranese Francesco Maria Piave che Verdi amava e maltrattava con uguale intensità, costringendo quello che lui chiamava “caro mona” a mangiarsi il fegato di poeta alla veneziana; la storia delle tre opere più popolari – Traviata, Rigoletto, Trovatore – drammatizzata con grande partecipazione sulle note perfette del violoncello, un'orchestra completa racchiusa in una forma di legno sagomato con quattro corde annodate; un Otello in pillole, più quello di Shakespeare che quello di Verdi, con cui Paolini dà un assaggio di quale effetto potrebbe fare un suo sbarco sulla scena classica, nei panni di attore drammatico; il confronto rancoroso con Richard Wagner, coetaneo e concorrente, di cui Verdi va a vedere a Bologna il “Lohengrin” annotando con cattiveria sulla partitura: “Abuso di note tenute”, “Ti piace lento, a te, eh?” “Questo è il punto in cui il pubblico si chiede: quanto dura?”.
Tutta la narrazione è immersa nelle note dell'armonium e del violoncello, una colonna sonora discreta che costruisce un percorso antologico del repertorio verdiano e che ogni tanto si prende il proscenio per mostrare la classe immensa di Mario Brunello.
Sul finire del primo tempo il violoncellista esegue una fantasia dei temi di Traviata che incanta e commuove il pubblico e lo fa esplodere in un applauso inarrestabile. Applauso che si moltiplica alla fine e che coinvolge anche i coristi anonimi, sublimi nel duetto del terzo atto di Traviata tra Alfredo e Violetta: “Parigi, o cara noi lasceremo, la vita uniti trascorreremo..."

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