"Fa troppo caldo, non stancatevi ad applaudire". È la prima volta che sento un attore scoraggiare un applauso. Lo ha fatto con simpatica autoironia Marco Paolini, trasferitosi dal teatro Verdi al Porta Romana con quattro monologhi dei suoi "album della memoria". Tutto esaurito per la prima puntata - "Adriatico", racconto per bambini dai sei agli ottant'anni - e molti applausi nonostante l'avvertimento dell'autore.
"Adriatico" è la storia iniziatica di un bambino della Bassa emiliana che i genitori mandano in colonia a Cattolica. Il tono è quello di una "canzone di gesta" epico-comica, protagonisti dei Gianburrasca che hanno anche qualcosa del fanciullino pascoliano. La colloquialità di Paolini, alla buona, arriva diritta alla memoria collettiva del pubblico, perché nel racconto c'è l'Italietta di quella povera gente che avevano raccontato i neorealisti, da Pratolini a Zavattini. Ma anche Collodi, Vamba, gli "enfants terribles" di "Linus" e diciamo, per buona misura, Gary, Goscinny, Pennac. L'originalità non è nei contenuti, è nella lingua vernacolare (un Ruzante da Scuola Materna) che riproduce l'epos dei Camminanti, i favolosi cantastorie di un'altra Italietta, quella delle "Figurine" del Faldella.
Sono propenso ad attribuire il successo di Paolini al vuoto che una Tv senza memoria ha prodotto appunto in tutti, giovani e meno giovani. Abbiamo bisogno dell'autenticità dell'"amarcord" nazional-popolare di Paolini.
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