Con questo nuovo "Aprile '74 e '75" gli "Album" di Marco Paolini, il mini-serial teatrale che parte dagli anni Sessanta, arriva alla sua quarta puntata. Ma piombando nel cuore di un decennio lacerato e violento, lontano dai territori dell'infanzia e dell'adolescenza, la tonalità cambia. Nelle "puntate precedenti", per il protagonista Nicola la colonia di "Adriatico", il campo di calcio di "Tiri in porta", l'oratorio di "Liberi tutti" erano occasioni per misurarsi con il mondo; e "Liberi tutti" si era concluso con una sensazione di apertura, di novità, insomma con un piccolo '68.
Invece, dopo questa promessa d'utopia, "Aprile '74 e '75" racconta di schemi obbligati di rigidità e di ruoli. La scena costruita nel monologo è duplice e sovrapposta: il campo di rugby e la piazza centrale della città, quella che accoglie le manifestazioni. Questi due spazi simbolici si rispecchiano l'uno nell'altro, così come la partita e il campionato riflettono lo scontro politico e sociale che attraversa l'intera società: compagni contro fascisti, compagni contro polizia. Su quei campi, su quelle piazze, in un mese inquieto si lotta, si soffre, si vince o si perde, ma forse non si cresce più…
Gli anni di "Aprile" dovrebbero essere, dal punto di vista della cronaca e della storia, quelli della politica, dell'ideologia, dell'impegno: ma nello spettacolo di Paolini tutto questo è una cornice per raccontare una vicenda più profonda, più intima. Il cerchio sembra stringersi intorno a Nicola, protagonista e narratore, ormai vicino ai vent'anni. Il monologo slitta dall'epica verso la confessione, il contorno dei comprimari si riduce a una serie di schizzi: forse perché allora bisognava essere tutti "uguali", tutti "compagni", o in ogni caso tutti intrappolati in uno schema, in una partita che è anche una guerra per bande, uno scontro ritualizzato nella città. "Aprile" accenna impressionisticamente, con umorismo, alle diverse fasi del cerimoniale: dall'attacchinaggio all'organizzazione dei cordoni, dal corteo allo scontro di piazza…In apparenza Paolini rievoca la solidarietà dei corpi, il piacere dello scontro fisico, la fusione collettiva e la "società perfetta" del bar (altro luogo deputato di "Aprile"), e in realtà sta raccontando la storia di una solitudine, in una stagione che bruciava con foga testarda speranze e illusioni.
Così questo "Aprile", che alla fine lascerà uno dei compagni di rugby e di lotta in un letto d'ospedale, in coma per sei mesi dopo le botte della "celere", diventa la premessa di una sconfitta. Paolini (autore, regista e attore) la racconta con onestà e con coraggio, attraverso passaggi di comicità alla "Ecce bombo", ma anche con un dolore avvertibile: la sofferenza di tornare a un'esperienza irrisolta, mai capita fino in fondo, tanto da volerla faticosamente ripensare, districando i ricordi attraverso una lettera di due minuti scritta ogni giorno prima dello spettacolo e letta nel finale, prima della conclusione sospesa.
Nei libri di storia gli anni Settanta appariranno diversi, così come molti percorsi individuali non si riconosceranno in questa vicenda particolare; forse questo "Aprile" non è la storia, forse non è la memoria, forse non è neppure - come suggerisce Nicola - la verità. Ma quel campo fangoso e la sconfitta finale sono forse la metafora più vera di quella stagione. Una stagione da ripensare per ritrovare le proprie patrie personali e collettive, sospese tra le proprie radici e l'utopia.
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