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Il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia, La Tribuna di Treviso – Circumnavigando Venezia con Marco Paolini

Molte buone idee ma il ritmo e la durata sono un po' troppo "lagunari"

"Il Milione", nuovo monologo dell'attore e regista bellunese, ha debuttato l'altra sera al teatro Toniolo di Mestre

"Ho sempre pensato che, per procedere, non è necessario muoversi in direzione diretta". Con questa frase Marco Paolini conclude il suo ultimo recital, "Il Milione", che ha debuttato al Toniolo di Mestre. E con queste parole ha dato la migliore definizione possibile del suo stile: uno stile circolare, discreto, che non affronta di petto e con violenza gli argomenti alla maniera di moda oggi per molti "monologhisti" d'assalto, ma li aggira, li circuisce con misura, conquista il pubblico un po' alla volta con toni confidenziali, e mira al bersaglio con graduale persuasione.

Per questo ci è piaciuto, anche se il recital eccede in lunghezza (quasi tre ore, con intervallo) e ha bisogno di qualche taglio e ridimensionamento. Così com'è, risulta molto "lagunare" come il soggetto che ha scelto. Che è, appunto, Venezia e la sua laguna. Viste da un uomo che veneziano in senso stretto non è (Paolini è di Belluno) ma si sente veneziano di elezione. E, infatti, parla un perfetto dialetto del capoluogo, con tutte le sue morbidezze e le sue "scivolosità"; ma, poi, trascorre a ricuperi di un veneziano arcaico, letterario e ad echi del retroterra, triestini o padovani o trevigiani, in un saporito e fluido miscuglio di colorito variamente veneto.

Il copione, che fa seguito al successo nazionale de "Il racconto del Vajont" e ad "Appunti foresti" e che propone ancora una volta un Paolini "solista" dopo le sue lunghe esperienze di attore di compagnia, risulta un viaggio immaginario di un redivivo Marco Polo. Parte da un contrapposizione tra la terraferma (campagna) e il capoluogo cioè tra lo snobismo della capitale veneta e l'emarginazione di chi in essa non ha avuto il privilegio di nascere. Poi si propone un decollo dall'aeroporto di Venezia, il Marco Polo appunto, per un viaggio in giro per il mondo ma la paura lo costringe a scendere, e a sbarcare proprio tra le melme della bassa laguna. Dove incontra un veneziano autentico, il barcaiolo Sambo. E con lui perlustra tutta una serie di osservazioni, ora critiche, ora ironiche, ora affettuose, sulla realtà di Venezia: dopo averne ricostruito sinteticamente l'antica origine in termini favolistici, stigmatizza i danni di una industrializzazione selvaggia (Marghera) con i suoi mefitici inquinamenti; un turismo di massa che ne travolge la composta e tranquilla bellezza (e qui ci sono scenette e appunti spassosi sulla frenetica invasione di turisti soprattutto giapponesi, sulla insopportazione dei veneziani, sul loro maligno dirottarli in tragitti sbagliati, ecc.). Si toccano anche problemi sociali, come la penuria di case, l'occupazione di appartamenti sfitti (o sedicenti tali), la diminuzione di giovani.

Insomma, è un panorama articolato che circumnaviga Venezia, ritraendola nelle sue attrattive e nei suoi squilibri, con un ondulatorio movimento di acqua che sale e scende secondo le maree, e il ritmo largo della voga di Sambo, che invano cerca di insegnarlo al "campagna" che lo segue. Il meglio si ha forse proprio nel secondo tempo, quando al borbottio ripetuto dei motori di un battello, Paolini infila una sequenza ininterrotta e più veloce di flashes, che già da soli basterebbero a riempire una serata.

L'attore che è presentato da Moby Dick - Teatri della Riviera, simpatico, ha un viso dolce e occhi furbetti, un mestiere sicuro, e una cordialità accattivante. In un palcoscenico quasi vuoto e disseminato di pali per l'attracco di barche, con tre strumentisti che sonorizzano il fondo ed altri brani registrati, con il prestito di stralci da scrittori famosi come Bettin e Magris e Zorzi, ma anche addirittura come Melville e Marinetti, la serata è piacevolmente divagante. Se l'ondulazione rotatoria si stringerà in tempi più vigili, si perderà un po' di clima acquatico ma si guadagnerà in efficacia teatrale.

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