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Il Mattino. Paolini e la miseria dell’oggi

MESTRE. La figlia «che avevo giurato che la laureavo» finisce dall'altra parte del mondo a fare il soldato, è giusto che suo padre si chieda «dove abbiamo sbagliato?». Il cerchio de «Miserabili» di Marco Paolini - andato in scena in anteprima giovedì sera al teatro Toniolo di Mestre, dove replica fino a stasera - si apre e si chiude qui, sull'ipotetica lettera di un padre a sua figlia, che diventa pretesto per interrogarsi sui principi della memoria, sul rapporto tra denaro e miglioramento della qualità della vita, tra liberismo e libertà. «Se sia giusto esportare coraggio italiano nelle guerre del mondo, io non so - è la
conclusione - ma un lavoro come il tuo, che non si può neanche scioperare, non è roba per noi, e va disertato!».
Il pubblico, che gremisce il teatro, si scioglie in un lungo battimani che porta sul palcoscenico il plauso per l'attore, la condivisione sul nonsenso della guerra e la consapevolezza dell'uomo postmoderno ridotto ìn "miserìa". Tra l'incipit e la conclusione della lettera, Marco Paolini fa un lungo excursus di storia del costume italiano, travolto dalle ricadute spicciole del liberismo sfrenato di cui si è fatta interprete Margaret Thatcher. Sulla scena ci sono due ordini di tavoli con i resti di una cena, All'inizio, a mezza luce, Paolini lo dichiara che quello che il pubblico sta per vedere non è uno spettacolo finito ma «un carrello della spesa»,nel quale c'è più del necessario, che andrà tolto con l'andar della tournée. E tra lo stigma sulla privatizzazione globale, la smania di vendere che ha impoverito tutti, l'abitudine a fare debiti in luogo dei vecchi sacrifici, la parte del leone la fanno i personaggi che hanno reso celebre l'autore e attore degli Album.
Il suo stereotipo del veneto un po' zotico, che non conosce le lingue e, anche quando ha studiato, deve sempre dimostrarlo a qualcuno, è un modo per giocare in casa, per attirare facilmente la risata e la simpatia del pubblico che non lesina applausi a scena aperta. E' tra questa compo¬nente dello spettacolo, che ricorda "Adriatico" e "Tiri in porta", e la nuova riflessione, sulla stangata del liberismo, che la sintesi non è ancora matura. Paolini cerca il giusto equilibrio tra le stoccate al «pensiero unico, pensiero stupendo» che chiama «belle epoque», al tatcherismo e al reaganismo («il presidente degli Stati Uniti era un attore, e anche il papa polacco era una attore») e la galleria della sua Italia vista dietro la lente del paese, del dialetto, dei vizi e dei sogni di piccoli uomini puri. Per rendere omaggio alla purezza e l'onestà intellettuale di un uomo grande, i Mercanti di Liquore rivisitano «La libertà» di Giorgio Gaber, che «è partecipazione». E per contrasto, viene fuori chiaro chi sono i miserabili. «Una volta tutti lo sapevano chi erano i miserabili, perché leggevano Hugo e li vedevano per la strada - dice Paolini fuori scena - Oggi la miseria è la soddisfazione facile, la solitudine, è l'avverarsi della profezia della Thatcher per cui non esiste la società, solo individui soli».

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