C'è poco da discutere si Marco Paolini e le sue performance appartengono allo specifico linguaggio televisivo o meno. A parte le qualità onnivore della tv, Paolini ogni volta dimostra di sapersi servire del video con assoluta padronanza e con indubbia capacità magnetica. Le sue recite sono cavalcate perfino impervie, sicuramente dure, che non fanno sconti, ma giocano inevitabilmente sul fronte della conquista emotiva. Altrimenti non si spiegherebbe l'effetto che ogni volta riesce ad ottenere. Succedeva quando si avventurava nei suoi monologhi su Raidue, succede ora che ah traslocato su La7, dove i numeri sono sicuramente ridotti, ma segnano pur sempre record d' ascolti. E' accaduto anche con "Album d' Aprile", viaggio nella parola attorno al rugby, al suo mito semplice ed eroico, spaziando fra suggestioni attuali e perfino sulla cronaca, dove lo stadio a un certo punto si trasforma in piazza (quella della Loggia, della strage di Brescia). Quasi un prologo per la rete a una serie di appuntamenti dedicati a quello sport (con le riprese del Sei nazioni che al debutto ha regalato share stratosferiche, 11 per cento di media). Ma Paolini non è sport, non c'è agonismo nella sua performance, pur se l'impegno fisico è evidente nel sudore che lo copre nelle due ore e mezza di assolo durante il quale l'attore usa la parola come uno scultore usa lo scalpello, con gesto sicuro pero mai enfatico.
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