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Il Padova – La palla ovale è protagonista

É una passione che sta iniziando a coinvolgere davvero tutti. I “veci” del rugby storcono un po' il naso: troppo divismo, giocatori-modelli lontani da casa sono diventati idoli in terra straniera. Poi però fanno un lungo sospiro e si convincono: “se serve a far conoscere questo sport, accettiamo anche riflettori e calendari sexy”. Le vecchie foto in bianco e nero, quelle conservate gelosamente negli archivi degli storici club italiani, raccontano imprese che sembrano lontane. Altri tempi, altri fisici, magliette più abbondanti per giocatori-lavoratori. A metà degli anni Cinquanta arrivano i tour e le prime esperienze internazionali che preparano il terreno al rugby italiano di oggi, diventato professionistico e impegnato nei Mondiali e nel Sei nazioni. Ma, oggi come ieri, il rugby mantiene un'originaria, inattaccabile purezza. Continua ad essere uno sport fatto di fango e condivisione ad alti livelli scorre meno birra di un tempo forse, ma in campo lo spirito è sempre lo stesso. A spiegare questo straordinario gioco, rivolgendosi soprattutto a un pubblico di neofiti amanti del teatro, ci pensa Marco Paolini: anni fa l'attore veneto propose lo spettacolo Album d’Aprile è nato nel 1995 e riallestito nel 2002 e oggi continua a parlare di mete e palla ovale, dapprima con una serie di 15 corti per insegnare le regole in pochi minuti, poi con una diretta da gran finale, per accogliere il Sei nazioni 2008 che inizierà proprio domani con la partita Irlanda-Italia. Stasera alle 21.30 Paolini sarà al Fillmore di Cortemaggiore, nel piacentino, per la diretta La7 di Album d’Aprile, che andrà in onda senza interruzioni pubblicitarie, come successe il 30 ottobre 2007 con Il Sergente, tratto dall'opera di Mario Rigoni Stern. «La prima cosa è l ’odore della sifcamina e dell’olio canforato per scaldare i muscoli in spogliatoio, la seconda è la faccia di Tarcisio, tirà come una bestemmia muta, gli occhi rossi di chi non ha dormito. La terza è lo spogliatoio: stretto, lungo, come un vagone la quarta è la squadra, tutti vestiti uguali, anch'io, allora gioco
anch'io... La quinta il campo di fango di Rovigo coi pali delle porte più alti del mondo, fatti apposta per farti prendere paura ; la sesta è il caligo, la nebbia», racconta in Album d’Aprile e spiega nelle note: «Questa storia è inventata, ma dentro ci sono molte cose vere, mescolate e combinate. C’è il rugby che mi è stato insegnato con passione da chi lo gioca, perché io non ho mai giocato, solo ammirato da fuori». Sul palco sale quindi la passione del tifoso. Il rugby visto con gli occhi di uno spettatore completamente rapito da quello sport che inizia col calcio ad una palla ovale incontrollabile, ribelle. Scrive Spiro Zavos, giornalista neozelandese, nel suo libro L’arte del rugby: «Il rugby è corsa, placcaggi, calci, passaggi, possesso. Si gioca con una palla ovale da poco meno di due secoli [...]. Per banale che possa sembrare, vince chi fa più punti. E il modo in cui farli, esattamente come l'imprevedibilità del rimbalzo della palla, ricorda qualcosa della vita. Quindi non è poi così banale. Perché per fare punti si deve guadagnare terreno. Per guadagnare terreno si deve avere il possesso di palla. Per conservare il possesso è necessario il sostegno». Richard Burton lo definiva «un meraviglioso miscuglio tra il balletto, l'opera e un efferato omicidio». Godetevi lo spettacolo.

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