In tema con i testi a cui si è ispirato per il suo Uomini e Cani, l'ultimo lavoro teatrale di Marco Paolini andato in scena ieri sera al Cassero della Fortezza Medicea di Poggibonsi, anche lo stesso attore bellunese è sembrato uno dei personaggi dei racconti di Jack London. Lo è sembrato perché, al pari dei cercatori d'oro del Klondike di fine Ottocento, anche lui ha sfidato un fattore avverso per trarne qualcosa di prezioso; ma a differenza delle numerosissime vittime della febbre dell'oro nel profondo Nord America, a Paolini è toccato sfidare qualcosa di per certi versi ancora più insidioso della furia neutrale della natura.
Ciò che ha confrontato, e vinto, è l'indifferenza verso un autore che è stato - chissà perché, poi - infilato a forza nella casella dello scrittore di racconti per ragazzi, almeno in Italia. Ma che nel corso dei suoi quarant'anni di vita ha avuto il tempo di dilettarsi con temi ben più vari ed oscuri, oltre ad essere stato operaio, pirata, vagabondo e scrittore di fama internazionale. D'altra parte London, che delle storie brevi ha fatto il suo punto di forza, si è dilettato anche di fantascienza e di politica vera e dura, come era quella del socialismo americano di fine ottocento - e si vede, a volersene accorgere. Ieri sera Paolini lo ha fatto vedere oltre ogni ragionevole dubbio, oltre ad incantare come suo solito una platea ragguardevole con una semplicità che ha a tratti del soprannaturale.
Tre storie ed un intermezzo, niente di più e niente di meno: storie, per l'appunto, di uomini e di cani, compagni di millenni e spesso più simili di quanto non piaccia ammettere, nel bene come nel male. Animali buoni e cattivi, gli uni e gli altri, accomunati dalla lotta contro un clima ed una natura che non fa sconti a nessuno, e che purtroppo diventa molto facilmente la metafora perfetta di una società che ha perso ogni pietà. Il forte, idealista, individualista e vincente London lo vide con i suoi occhi, dall'alto dell'invincibilità dei suoi diciotto anni, non appena arrivò a vedere i disastri sociali del suo tempo sulla costa est degli Stati Uniti. E capì che fra lui e i reietti dell'abisso l'unica differenza era stato il caso, o anche solo un piccolissimo errore. Come quello che compie l'anonimo protagonista di To Build a Fire, il racconto spietato della fatale hubris di un viaggiatore lungo lo Yukon col quale Paolini, non a caso, ha deciso di chiudere il suo spettacolo.
Una serata magica, divertente, poetica e dura al contempo, quindi: e anche se Paolini sembra aver messo da qualche tempo da parte il teatro civile che gli ha dato la sua meritata fama, Uomini e Cani convince molto più del suo Miserabili – Io e Margaret Thatcher, col quale era stato ospite del Cassero qualche anno fa. Ed ha senz'altro contribuito a rendere questa edizione del festival Atuttomondo, organizzato dall'associazione Timbre e dal Comune di Poggibonsi, qualcosa di notevole.
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