A più di vent'anni da quel 27 giugno 1980, quando un Dc9 dell'Itavia si inabissava nelle acque del Tirreno, al largo di Ustica portando con sé le 81 persone che erano a bordo, a più di vent'anni dalla nascita di uno dei misteri più inquietanti della storia italiana, Marco Paolini (nella foto) presenta al teatro delle Passioni di via Carlo Sigonio, stasera e domani alle ore 21, I - Tigi Canto per Ustica.
I - Tigi (sigla identificativa del volo), scritta dal cantastorie veneto, autore del famoso monologo sulla tragedia del Vajont, assieme allo scrittore-pilota Daniele Del Giudice, è un' «orazione civile», un denso e struggente monologo che traduce per gli spettatori le asperità di un'indagine complessa, ostacolata da depistaggi e reticenze.
Marco Paolini è solo in scena con una lavagna luminosa su cui disegna via via la rotta di uno, due, cinque aerei, con la sua voce e la sua parola si addentra minuziosamente nella sequenza degli avvenimenti, nei risvolti della storia e della cronaca, apre il fascicolo del giudice Priore, e vi insinua la sua virtù affabulatoria.
L'alternanza sapiente di pietà e sarcasmo, di informazione e sentimento conduce sempre il racconto di Marco Paolini a un nucleo di dolore non redento, alla vergogna di una spiegazione mai fornita, ad una serie di domande prive di risposta, per ricostruire una storia a metà strada tra la terra e il cielo.
«Non ho scoop — afferma Marco Paolini — non ho fatto indagini, non c'è la soluzione finale del giallo: abbiamo soltanto cercato di spiegare un'istruttoria di cinquemila pagine in meno di due ore».
Il senso di I -Tigi Canto per Ustica è «quello di fare memoria — prosegue Paolini —. E per farla non abbiamo cercato l'effetto. Niente nomi, per esempio: le vittime sono ricordate solo con le loro professioni. Neanche i nomi degli imputati, dei generali. Non mi piace fornire capri espiatori alla rabbia e all'indignazione del pubblico. Tutte le frasi sono vere, citate fedelmente dal testo di Priore».
Uno spettacolo di impegno civile e di riflessione collettiva che, già presentato con successo a Bologna e a Palermo e poi trasmesso anche su Rai 2, non attiene ad un copione definitivo e sempre uguale a se stesso: «Cambio le parole e sera per sera — continua Marco Paolini —, e uso lo spazio teatrale come un'aula. Seguo l'evolversi della vicenda in un'altra aula, quella del tribunale di Roma dove questa storia viene ancora radiografata, indagata e contestata agli imputati».
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