Il "sergente nella neve" e' ancora un sergente nella neve. Classe 1921,
autodidatta, ha combattuto una guerra che gli ha lasciato segni inenarrabili. Li ha trasformati in letteratura, e lo racconta nel ritratto intervista con Marco Paolini.Le sue storie trasudano di luoghi lontani visti in prospettiva dall'altipiano di Asiago, e dalla casa degli Stern. Proprio qui, dove è ancora conosciuto come "l'impiegato del catasto" hanno origine le sue parole. Quindici romanzi e una fama che valica le Alpi non sono bastati perché la popolazione locale prendesse a chiamarlo "maestro". E a lui, d'altronde, poco importa. In qualunque altra parte del mondo è riconosciuto come un grande...
«Mi arrivano tonnellate di lettere e testi di giovani che vogliono fare gli scrittori ci spiega Mario Rigoni Stern.. Io cerco di rispondere a tutti, ma ci vuol tempo. A volte intere giornate. Adesso, per esempio, ho quattro scatoloni pieni di lettere che aspettano. Ma ne arrivano tutti i giorni, ed è difficile star dietro alle richieste».
E tuttavia, cosa pensa dei nuovi - o degli aspiranti - scrittori Rigoni Stern: «La lingua si sta impoverendo sempre più, e me ne accorgo anche dai libri che mi spediscono. Quando apro un testo io vado subito a guardare i dialoghi. La maggior parte delle volte non sono costruiti sulla persona che parla (l'io narrante). Si vede che arrivano direttamente dalla testa di chi scrive, e che le risposte seguono il ragionamento dell'autore, e non quello dei personaggi».
Insomma, secondo Rigoni Stern «parlano tutti allo stesso modo. I media televisivi e i telefonini hanno portato la gente a usare termini inglesi di cui spesso non conosce nemmeno il significato. E invece, non c'è più chi utilizza il dialetto». Pausa. «Le faccio un esempio. Io continuo a battere i tasti della mia vecchia macchina da scrivere, ma adesso ho preso un fax. Ci sono le istruzioni in tutte le lingue: inglese, francese, tedesco, italiano. Ma leggendo l'italiano, ci si accorge che e' un italiano tradotto dall'inglese».Proprio così. Le conseguenze delle "parole del futuro". Quelle del passato, invece, Rigoni Stern le usa bene. Hanno un altro significato, sono costruite all'interno di una narrazione limpida e strutturata, e comprensibili a tutti: « È vero, uso termini dialettali talvolta. Ma guardi che le parole che scrivo le trova tutte nel dizionario». Oggi il nostro autore veneto sta scrivendo «una relazione sui luoghi abbandonati che sono i luoghi del futuro ci spiega , i luoghi pedemontani che la gente ha dimenticato. Fuori dalle città, con strade sconnesse, corrono il pericolo di ospitare cattedrali nel deserto. E invece devono essere luoghi del pensiero». Già. Perché «certe volte invece che tante parole, è più importante stare in silenzio», conclude Rigoni Stern. A lui, che della letteratura contemporanea «mi piacciono solo i poeti».
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