Fantascientifico Marco Paolini, sensuale, nei panni della Jole, Patrizia Laquidara. La coppia artistica sale sul palco di Bassano per “Boomers” e funziona più che bene. Lo sfondo è Operaestate festival, dove Paolini è di casa; il teatro al Castello di Bassano registra il tutto esaurito, alla chitarra e basso ci sono Davide Repele e Davide Pezzin e via, sul filo dei ricordi.
Sembra una normale serata alla Paolini, tra i personaggi che animano il bar della Jole, gli eventi che hanno segnato il ventesimo secolo e la nostalgia per la politica vissuta da ragazzi senza sfumature: o bianco o nero. “Boomers”, invece è la prosecuzione naturale della fiaba tecnologica “Numero Primo”. Coincisa con le prime sgambettate del piccolo Giacomo, il figlio arrivato a casa Paolini nel 2015, ha visto qualche anno fa papà Marco a Vicenza al suo massimo splendore. Parlava di un bimbo tutto affetti ed emozioni profonde, impegnato alla scoperta del mondo, e anche se si nascondeva dietro il nome di scena di Ettore Achille, in quel lavoro Paolini dava corpo, da genitore, al proprio sentimento. Con “Boomers” si porta avanti negli anni ed è Nicola, padre di un giovane programmatore di videogiochi in realtà virtuale. E “Boomers” sarà, appunto, l’ultima trovata, originata da un racconto che prenderà forma al bar, tra intellettuali di paese e avventori strampalati, ricordando la sera in cui la Rai mandò in diretta lo sbarco sulla luna.
Paolini racconta senza sosta, gioca con le parole, regala una digressione dietro l’altra e spiega che l’allunaggio procede a rilento «per le solite formalità doganali». Laquidara costruisce la colonna sonora partendo da successi dell’epoca come “Ho in mente te” o”Fatti mandare dalla mamma” e intrecciandoli alle sigle di Carosello. Brava, la cantante maladense, a suo agio anche come attrice e in grado di rendere intensi anche testi non proprio cantautorali. Il flusso dei ricordi prosegue ma, attorno alla metà dello spettacolo, si scopre che “Boomers” non è un racconto. È un videogioco concepito per un pubblico non più giovanissimo (i nati dal ’46 al ’56, figli del boom economico), ambientato al bar di Jole e costruito per computer di ultima generazione, da metaverso.
Il videogioco, naturalmente, deve vendere e il taglio è da film western, tra risse e sparatorie alle quali prendono parte tutte le figure conosciute da Nicola. Avventori reali, come Cesarino o il venditore di arance detto “Da casello a casello”, ma anche personaggi dei fumetti come Tex Willer o i protagonisti di guerre e guerriglie come i Vietcong, i Barbudos cubani, i marines. «Un po’ sovraccarico», si lamenta Nicola, dopo che Paolini ha offerto una prova d’attore notevole, interpretando tutti i personaggi in scena, ma in un attimo l’algoritmo che sovrintende al gioco rimette in ordine le cose. Così ci si avvia agli anni ’80 dell’opulenza, ai ’90 di tangentopoli e al “Tanko” con il quale i Serenissimi assaltarono piazza San Marco. L’episodio dà il destro a Paolini per ragionare sul Veneto dei capannoni e del suolo consumato. «A parte le Dolomiti – fa dire al personaggio dello “Spaghista”, imprenditore senza scrupoli - mi venderò anche quelle se qualcuno me le compra». Questo, a dire che il benessere sfrenato ha un prezzo e che questo prezzo è la perdita di misura e di radici, fino a quando non arriva un nuovo canto “Figli delle stelle” a invitare a un ritorno alla realtà dopo l’ultima sparatoria.
Nel bis, solo davanti al leggio, Paolini regala al pubblico la storia di Jole.