La pelle dell’orso è un film dall’atmosfera primitiva, ingenua, fiabesca; la vicenda si svolge negli anni cinquanta in una zona remota delle Dolomiti. Gli abitanti della regione sono poveri e rudi, di poche parole, imprigionati tra una natura spettacolare ma pericolosa e il duro lavoro con il bestiame o nelle cave di pietra.
Improvvisamente irrompe nella storia un orso che fa strage di vitelli e capre. Un orso già ben noto e temuto dalla gente del posto, astuto e molto feroce. Finora nessuno è mai riuscito a ucciderlo. L’orso è una specie di soprannaturale Moby Dick che mette a soqquadro la piccola comunità montana.
Comincia una caccia nei boschi, nelle valli e sugli altipiani che fa riemergere spettri dal passato. È una battuta di caccia in cui si esplora e si modifica anche il rapporto difficile e doloroso tra un padre e un figlio.
La pelle dell’orso è un film molto concreto, fermamente ancorato a elementi naturali e primordiali, alla vita e alla morte. Ma allo stesso tempo è un lavoro fortemente onirico e mitologico. Dal punto di vista visivo è sorprendente, girato con equilibrio ed eleganza. E la bellezza dei luoghi è sfruttata al massimo evitando sempre l’effetto cartolina.
Questa rubrica è stata pubblicata il 18 novembre 2016 a pagina 92 di Internazionale.
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