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La fabbrica del mondo, viaggio dentro la comunicazione della scienza

La prima delle tre puntate de “La fabbrica del mondo”, lo spettacolo di Marco Paolini e Telmo Pievani, è andata in onda su Rai 3 sabato 8 gennaio ed è stata subito convincente e appassionante. Lo spettacolo è un percorso e una riflessione sulla scienza e sulla sua comunicazione, nella cornice del rapporto dell’uomo con l’ambiente, e il suo merito  è la collaborazione tra un uomo di scienza esperto e rigoroso e un uomo di teatro, in grado di portare con sé anche un pubblico che non ne può più di pandemia.

Chi scrive ha scelto, ormai da molti anni, di non guardare più la televisione, ma ha pensato che La fabbrica del mondo, lo spettacolo di Marco Paolini e Telmo Pievani, meritava un’eccezione. E non se ne è pentita.

La prima delle tre puntate è andata in onda su Rai 3 lo scorso sabato 8 gennaio ed è stata subito convincente, interessante, appassionante. Si è riso e si è pianto, potremmo dire, e questa è la formula vincente per qualsiasi spettacolo. Insieme si è parlato di scienza, con un rigore garantito dal filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani, che peraltro non è alla sua prima esperienza di spettacolo (proprio sabato pomeriggio per la terza rete aveva interpretato il virus Sars-Cov-2 nell’ambito della trasmissione Tutta l’umanità ne parla, questa volta alla radio).

“Pipistrelli e virus” trattava il primo incontro e, chiaro, si sarebbe finito col parlare della pandemia. Il percorso, però, l’ha presa alla lontana, con Angelo Lombardi, l’amico degli animali della Tv anni ’60 che porta in scena un coccodrillo vivo, ma anche con il ricordo preciso e ammirato di Rachel Carson e del suo Primavera silenziosa, il libro che segna l’inizio del pensiero ecologico e del suo impatto sulla società. «La Carson - ricorda Pievani - scriveva benissimo e il suo libro vendette decine di migliaia di copie, introducendo alcune idee visionarie per l’epoca, come il rispetto e l’umiltà per la natura». Alcune sue pagine molto dure sui rapporti tra l’industria e la scienza le valsero critiche pesanti, ma anche l’attenzione del presidente Kennedy, che dopo averla ascoltata istituì una commissione che portò infine alla messa al bando del DDT. E questa è la cifra di tutto lo spettacolo: un percorso e una riflessione sulla scienza e sulla sua comunicazione.

Non solo abitanti, ma artefici

La cornice, ampia, di questo percorso è il rapporto dell’uomo con l’ambiente, a partire dall’idea di Gaia fino agli obiettivi dell’Agenda 2030. «Noi sulla Terra non siamo solo abitanti, è improprio definire il pianeta come una casa, siamo la specie che ha inciso di più sulla sua trasformazione, quello che facciamo assomiglia piuttosto al lavoro in una fabbrica immensa», spiega Paolini. Da qui il titolo La fabbrica del mondo. E l’ambientazione in una vecchia manifattura della Marzotto, in territorio vicentino. All’attuale pandemia, alle sue origini e a quello che succede nel rapporto tra virus e ospiti, ci si arriva attraverso la storia delle prime indagini su altre epidemie, la Sars, Marburg, si ragiona di zoonosi, di virus emergenti.

Paolini e Pievani ci fanno riflettere sulla pressione antropica che mette in contatto specie che finora non si incontravano, sull'attuale velocità dei trasferimenti, sui virus che prendono l’aereo e in poche ore cambiano continente. È quello che David Quammen ha raccontato nell’ormai celeberrimo Spillover e che Marco Paolini ci fa rivivere con le storie dei cacciatori di virus, come quel “batman da 120 chili” che si cala in fondo a una grotta africana alla ricerca dei responsabili di un focolaio di Marburg: i pipistrelli.

È tutto vero, documentato, lo conferma anche David Quammen, in persona, intervistato dai due. Ma è anche teatro, emozione. Ecco, il gigantesco merito di questa trasmissione è la collaborazione tra un uomo di scienza esperto e rigoroso e un uomo di teatro che conosce (e bene) il suo mestiere ed è in grado di portare con sé anche un pubblico che non ne può più di pandemia. Dei wet market e dei pipistrelli probabilmente tutti abbiamo già sentito parlare, dell’origine del Covid si è discusso fin quasi alla nausea, del lavoro dei ricercatori sappiamo ormai tutto, ma Paolini ce li rende umani, ce li fa vedere. (Come in Shakespeare in love, quando il predicatore che ha cercato in tutti i modi di impedire lo spettacolo peccaminoso rimane rapito dalla storia di Giulietta e Romeo e piange disperato alla loro morte). E del teatro c’è perfino il coro greco, con i corvi “meccatronici” di Marta Cuscunà che intervengono a commento. Che tutto questo avvenga in televisione (va bene sulla terza rete e non esattamente in prima serata) ci dice che, volendo, si può. Che non siamo proprio obbligati ad assistere alla sfilata dei virologi e alle esternazioni dei personaggi più improbabili. Che quella cosa difficile che è la comunicazione della scienza può arricchirsi di formule che richiedono forse solo un po’ di intelligenza e di coraggio. E quando, in chiusura Marco Paolini si commuove raccontando della morte del medico Carlo Urbani, noi ci commuoviamo con lui. La comunicazione ha funzionato.

 

di Eva Benelli

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