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La Nuova Ferrara (Cultura e spettacoli) – CHIMICA Oggi pomeriggio ultima replica

FERRARA. Marco Paolini ha fatto il bis per la singolare inaugurazione della stagione di Prosa del Comunale. Affidarsi per una volta ad un solo attore capace di reggere da solo la scena. Per due ore e mezza. Un'eternità, se ci pensate. Ma Marco Paolini è un fenomeno teatrale senza precedenti. Di attori che si presentano da soli in scena non ne mancano di questi tempi. Eppure questo è un teatro tutto speciale. Un teatro scandito da una voce che per ore è pronta a citare cifre, testimonianze, atti processuali. Si va formando un collage, un puzzle spesso senza soluzione. Un torrente di parole che è anche un'altra tragedia del Belpaese. E così dopo il mistero di Ustica, ecco l'epos della plastica che uccide a Marghera con "Parlamento chimico" (replica oggi ore 16), ultimo titolo nel catalogo di orazioni civili di Paolini: "All'inizio volevamo fare un Mahabharata italiano, nascita sviluppo ascesa crisi e morte del capitalismo italiano, 80 anni come la saga indù. Poi - racconta l'attore - la terra, che è la mia, il Veneto, mi ha ricordato il sogno di un gruppo di industriali. I sacrifici dei nostri padri che per farci studiare e mangiare non badarono a cosa quel polo chimico, quelle ciminiere nella notte, potevano provocare. Anche la morte. Mia madre non usa più la plastica, per conservare la soppressa, il salame veneto, usa lo straccio umido."

Con il Teatro Comunale ancora una volta strapieno Marco Paolini ha rinnovato anche a Ferrara un successo che va di pari passo con l'attenzione del pubblico, l'emozione, la riflessione. Ancora uno spettacolo che affonda le radici nella storia italiana, storia di scandali e tragedie che spesso, troppo spesso procedono assieme. L'attore affronta la storia dell'industria petrolchimica italiana in uno spettacolo affidato interamente alla sua presenza, ma soprattutto alla sua voce. Voce che seleziona documenti, frasi, le ripete, le mette fra virgolette. Hanno tirato in ballo persino Ruzante, per cercare di descrivere il teatro di Paolini. Ma a nessuno è venuto in mente Karl Kraus, lo scrittore viennese che magnetizzava l'attenzione del pubblico, leggendo a volte semplicemente il titolo di un giornale, mettendolo cioè fra virgolette per suonare il campanello di allarme contro l'apocalisse dell'idiozia, contro lo scandalo di una barbarie estesa al sistema mondiale e annidata già nell'ordine sovvertito della sintassi, della grammatica.

Meticoloso come Kraus lo è anche Paolini che agita pensieri tristi e civili sugli scandali del nostro paese, sui suoi insondabili misteri che pure vanno sondati ad ogni costo, con qualsiasi strumento. La voce che si esercita per entrare dentro di noi, per diventare la voce della nostra coscienza addormentata nell'indifferenza.

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