CREMONA - Marco Paolini prima di arrivare in teatro se ne è andato lungo il Po a vedere l’onda nera che ammorba il fiume… Prima che l’attore e narratore inizi a raccontare di sé e del suo teatro suona il telefonino. “Sì mamma, sì, sono a Cremona… sto facendo un’intervista”. Gli è impossibile troncare la conversazione e alla fine quando Paolini riesce ad attaccare dice: “M ha detto: che se trovavo degli uccelli lungo il Po di non lavarli io, ma chiamare il 115. Come se avessi passato la giornata a raccogliere uccelli…”.
Il fiume e quell’onda caffè latte come la definisce Paolini suggeriscono più di una riflessione: “Sono andato lungo il fiume su suggerimento di una cittadina che mia ha invitato ad andare a Po a vedere, meglio a sentire – racconta -. A fianco a me si è fermato uno in motorino e mi ha chiesto: ‘Si vede’, e io si sente, ho risposto riferendomi all’odore. Un odore che lui non poteva sentire, assuefatto dall’odore del traffico. Ho pensato che l’onda di idrocarburi riversata nel Po è la stessa onda vischiosa che ammorba in nostro vivere e che non riusciamo più a percepire perché ci siamo immersi dentro”
Cos’è quest’onda, fuori di metafora?
“È l’inquinamento ambientale e culturale a cui siamo assuefatti. È la dittatura della convenienza a cui tutti ci stiamo abituando. È la sovraesposizione della politica e dell’economia che ci impedisce di vedere le cose che veramente contano e che hanno a che fare con la nostra vita. È preferire la vita al lavoro”.
Come fare a uscire da questa situazione?
“Se lo sapessi… Io mi limito a raccontarlo”
Con il suo teatro civile?
“Con un fare teatro che reputo necessario. Il mio fare teatro, il mio raccontare storie dimenticate per comodità è nato e nasce dalla necessità magari di chiedere il risarcimento di un torto subito, di una tragedia impunita”.
Il caso del racconto del Vajont e di Ustica, ma anche dei Miserabili? Solo per citare alcuni dei suoi spettacoli?
“C’è il bisogno di testimoniare una storia, di non farla passare sotto silenzio… Ma io non sono un ariete, io faccio teatro. Cerco di raccontare la deriva in cui ci ritroviamo senza toni catastrofici ma con un po’ di allegria”.
Un teatro che scuote e diverte…
“Con La Macchina del capo ho voluto divertirmi, essere leggero. Magari prima o poi mi metterò a fare teatro con le ballerine”.
Come dire che non ha più senso fare teatro civile?
“Dico solo che non sono un ariete. Io non combatto battaglie, altrimenti avrei fondato un partito, io mi limito a raccontare storie”.
Ma Paolini è anche l’attore che ha saputo fare ascolti col teatro in tv. Che è in edicola con tutti i suoi lavori?
“Troppa sovraesposizione, vero…”.
Non si alludeva a questo, ma comunque non è di tutti questa moltiplicazione dei mezzi con cui far arrivare il proprio teatro…
“Andare in tv mi permette di guadagnarmi un po’ di libertà. Io sono un indipendente. Se un passaggio televisivo mi permette di assicurare teatri pieni, ciò come riflesso ha l’esito che posso permettermi di fare teatro come voglio io e scegliere gli argomenti che preferisco. Credo di adottare la strategia inversa rispetto a quella che adottano le star televisive che arrivano in teatro”.
Ma come ci sta il teatro in tv?
“Si cerca di farlo il meglio possibile, ma nell’epoca della riproducibilità dell’arte il teatro si conferma non riproducibile. Ciò che accade qui ogni sera è sempre diverso e non ci sta in tv e neppure in un dvd, strumenti che possono essere utili per raggiungere chi non può venire in teatro, ma che sono altra cosa”.
Ne è passato di tempo dalle mattutine per ragazzi al Galilei di Romanengo con il Vajont?
“Sì, ma sto ricominciando a incontrare gli studenti”
Perché?
“Quale pubblico migliore per mettersi alla prova. Loro non sanno chi sono, se va bene mi hanno visto in televisione una volta. Conquistare loro vuol dire tarare la propria capacità di attore e narratore. Da vecchio mi piacerebbe tornare a fare teatro ragazzi…”.
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