Con il successo straordinario del Sergente di Paolini su La7, tutti a congratularsi con la solitamente vituperata «tv di qualità»: naturalmente per le stesse ragioni per cui non si riesce a cancellare la tv horror, cioè lo share, la percentuale di spettatori che assicura valore commerciale al programma. La cultura al posto della spazzatura insomma ha diritto di asilo e non solo in televisione solo se pur essendo sempre stata patrimonio privilegiato, dimostra di poter diventare «quasi» di massa. Poi si è già visto: basta che un programma civile ed emozionante abbia cinquanta spettatori in meno di una fiction scema e subito si decreta la sua sconfitta, la sua cancellazione, non avendo il suo valore (e neppure i suoi spettatori) alcun interesse per chi pubblicizza purganti e cibi cotti. Dopo l'evento Paolini l'entusiasmo fa, come si dice, allargare il discorso: e non sarà il caso di dare una mano anche al teatro di qualità, che pur con share ristretti (le sale si sa non contengono milioni di spettatori) è il segno del livello culturale di un Paese; e il cinema di qualità, e la musica di qualità, e la letteratura di qualità? Si prospetta un nostro futuro in cui anche ai telespettatori sarà data la possibilità di non rincretinire? E l'informazione se la sentirà di dare una mano a questa speranza, dando meno spazio allo spettacolo spazzatura e un po' di più allo spettacolo di qualità, tanto per essere originali?
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