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La Repubblica – Marco Paolini diventa Galileo per raccontare l’intraprendenza

C' è del metodo, nella ventata di poetica follia che Marco Paolini plasma e contagia a tutta la scena quando calza all' improvviso un' assai tornita e anatomica maschera di cuoio da commedia dell' arte entrando a gamba tesa, e con voce pavana, nelle schermaglie filosofico-trattatistiche del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei. C' è di colpo tutta l' umiltà di un artigianato, di una tecnica antica della rappresentazione, e di un mistero (stretto) della lingua di Padova che marcò la docenza universitaria dello scienziato pisano, in questa pagina dello spettacolo ITIS Galileo, testo di Paolini stesso e di Francesco Niccolini, che il protagonista declina e impersona da generoso attore al servizio di confutazioni rivoluzionarie. Facendo appello con intuito a un mestiere popolare, a un transfert teatrale, e a un fraseggiocanovaccio che impone la malia al posto della biografia, l' estro anziché solo il racconto. Eccolo, uno dei segreti di questo lavoro che s' è avvalso della consulenza scientifica di Stefano Gattei e di quella storica di Giovanni De Martis, per poi essere messo in cantiere con lungo rodaggio di contatti con la gente, coi giovani. Ecco percepibile il sentimento di un pensiero alto, quello di Galilei, che si rende ancora più manifesto se veicolato sotto forma di battute universali dette da un comico della tradizione. Efficace trovata. Non l'unica, di un' impresa che, vista all' Argentina di Roma, è variamente e contemporaneamente tesa a chiavi di lettura sociali, religiose, letterarie, economiche, intime, etiche e anche, perché no?, disincantate,a rischio talvolta di qualche digressione comparativa anche non indispensabile. Ma tanto di cappello al Paolini che si veste da fabbro o da factotum dell' astronomia d' altri tempi, che concentra la scenografia in un facsimile di antiquata mina incombente dall' alto come un pendolo (su cui all' epilogo balzerà come Münchhausen), che prende spunto da un genio del ' 600 e riflette e fa riflettere, oggi, sull' ostinatezza e sull' intraprendenza delle idee. Senza mai retorica. Allargando lo sguardo ai coetanei del tempo, a Keplero più giovane di sette anni o a Shakespeare nato solo due mesi dopo. E qui ci s' imbatte in un' altra gemma, in un pezzo dell'Amleto riscritto in alto vicentino da Meneghello. È come se fossimo accompagnati per mano in un osservatorio dell' epoca, e tra un aneddoto, una citazione, un estratto letto da uno del pubblico, una rivalutazione degli oroscopi fondati sugli astri tolemaici,e un quadro di confronti con Giordano Bruno e Tommaso Campanella in tema di rapporti tra Dio e uomo, si ritrae netta l' invivibilità di un' era in cui l' ortodossia partoriva condanne a morte, all' abiuria o al silenzio. Senonché Paolini va a scandagliare anche la vecchiaia indomita, con gravi problemi di vista, che non impedì all' uomo di scienze, malgrado l' autocensura, altri studie ricerche. In fondo il senso di questo spettacolo è nel mettere in guardia da sistemi e concetti cui ci affeziona troppo, mentre c' è il dovere di cambiare ciclicamente la percezione di noi, delle cose, del mondo. E quando in chiusura scoppiano le note rock di Roll over Beethoven sai che la storia siamo noi.

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