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La Repubblica (Milano) – Con Paolini, Finardi e la Costa festa per ventimila all’ex Pini

Grande partecipazione all'appuntamento organizzato nell'area dell'ex manicomio

Alla fine quello che resta nell'aria, sui prati del vecchio manicomio invasi dalla gente e dal profumo dei tigli, è una sensazione di profondo, ineffabile stupore. Lo stupore di chi si in cuor suo si domanda come diamine sia possibile ritrovarsi così in tanti in piazza, così in tanti in feste come questa, e così in pochi quando si va a votare. E lo stupore tracima in interminabili discussioni da bar sport della politica, tra le bancarelle dei libri e i chioschi della birra, mentre sul palco Eugenio Finardi grida la sua immarcescibile Musica ribelle. «E cribbio io mi domando come sia possibile che la sinistra non si rende conto che Castagnetti ha il cinque per cento dei voti e gli astenuti invece sono il trenta per cento, e noi invece di fare la corte a Castagnetti dovremmo fare la corte a quel trenta per cento che poi è tutto nelle nostre zone, a Sesto san Giovanni la gente non va più a votare». E cose del genere.

L'anno scorso erano in diecimila, la sera del 25 Aprile al Paolo Pini, per la kermesse di «Appunti partigiani». Ieri sera sono ancora di più. Il doppio a occhio e croce. E dal palco Marco Paolini fa lo spiritoso: «La questura ci comunica che siamo in cinquemila». Sotto il palco una folla di sinistra eterogenea che si stravacca sul prato, sfila tra le bancarelle, si assiepa in file bulgare per un panino con il kebab, si contende le magliette di Emergency come se fossero in regalo. Il merchandising incarna il disorientamento della sinistra, si vendono una accanto all'altra le magliette con il logo degli zapatisti e quelle con lo slogan coniato da un Procuratore generale della Repubblica («Resistere, resistere, resistere») mentre sui banchetti dei libri fanno capolino indisturbati titoli che fino a pochi anni fa venivano liquidati come revisionisti (la storia del fascismo di De Felice) se non semplicemente fascisti (il ciclo di Tolkien), È scesa la sera e la temperatura si è abbassata, ma la gente continua ad arrivare. All'entrata, come contrassegno dell'avvenuto pagamento, ti avvolgono al dito una resistenza, sottolineando che non è una scelta casuale. Il parco del Pini è grande e pieno di ombre, difficile non pensare alle storie di disperazione che per decenni sono state ospitate dall'ospedale psichiatrico. Sul palco la scaletta della serata è già andata a farsi benedire, gli ospiti vanno e vengono un po' come capita, le ballate bergamasche di Davide Van der Sfroos e la marcia in si bemolle di Schubert, Daniele Luttazzi stranamente ancora a piede libero e il quartetto di Sciostacovich per le vittime del fascismo. A puntellare la serata, a farne l'ossatura, i quattro «cori», diretti nell'ordine da Lella Costa, Marco Paolini, Paolo Rossi e Fabio Fazio: perché «"Appunti partigiani" non è una bandiera ma un quaderno, un libretto di scadenza che torna dopo un anno come sfida alla pigrizia. Appunti, non comizi, ma spunti per parlare di noi e di quello che succede in forma di concerto e di oratorio».

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