Duemila a Porta al Prato per "Stazioni di transito", avvincente recital fra treni, ricordi e politica
Il palcoscenico è un vecchio carro merci scoperto, fermo su un binario morto. Qui Marco Paolini - noto per il "Racconto del Vajont" - attraversa le sue "Stazioni di transito". Ai lati ci sono due locomotive a vapore degli anni Dieci. Storici locomotori e vagoni da museo. Sopra, la luna quasi piena. Le luci sono azzurre, come nelle stazioni d'una volta o nei palcoscenici dove si esibiva Marlene. "Non ho mai visto tanta gente per sentire uno che legge - afferma Paolini, che ha portato a Firenze - nell'ambito delle Notti d'estate, su iniziativa del Puccini - il suo spettacolo in uno scenario estremamente particolare, ovvero fra i binari dello scalo di Porta al Prato, exStazione Leopolda. I treni d'epoca provengono dal deposito delle Ferrovie di Pistoia. Duemila persone siedono su una platea improvvisata, mentre Paolini racconta le sue storie, i suoi "train de vie". In oltre due ore di spettacolo (senza defezioni) l'attore parla di amori e viaggi giovanili, del sapore di certi terni e di certe stazioni, della scoperta dell'America. Ancora, di locomotive a vapore inaffidabili come le donne, ma anche delle stragi di Piazza Fontana e dell'Italicus. Paolini sa essere come sempre coinvolgente, poetico, ironico. Il suo è un teatro di resistenza e di denuncia.
Va però detto che "Stazioni di transito", con quell'irripetibile scenografia - forse - aveva bisogno di un occhio esterno, di un regista, che sapesse rendere più funzionale allo spettacolo la presenza dei treni. Ed anche al pubblico - imprigionato in sedie di plastica - doveva essere offerta la possibilità di muoversi , di poter seguire lo spettacolo da diverse angolazioni. Nelle "Stazioni di transito" in fondo, i treni stanno fermi, ma gli spettatori-viaggiatori devono potersi muovere. Detto questo, la serata è stata un evento ed il pubblico ha lungamente applaudito.
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