Racconto un crimine chimico prima dell'antrace"
Da oggi a Castiglioncello il recital dell'attore sul caso Marghera. Mentre la Rai "congela" un suo show sull'Europa
ROMA - “Siamo figli dell'epoca/ l'epoca è politica/ tutte le tue, nostre, vostre/ faccende diurne, notturne/ sono faccende politiche” legge e recita Marco Paolini in apertura della trasmissionespettacolo Il cammino dell'Europa, autori Ammirati Paolini Vacis, un evento di Rai Educational registrato per coincidenza a Napoli il 13 settembre, due giorni dopo il cataclisma di New York, e cancellato dalla messa in onda su RaiTre, senza che ancora si sappia quando si potrà vedere questo racconto sulle barriere e sulle solidarietà del Vecchio Continente. Nel frattempo Paolini è impegnato in un cantiere di scrittura e in un work in progress teatrale sul misfatto contro ambiente e operai per cui da anni si celebra un processo agli stabilimenti chimici di Porto Marghera e alla sua classe dirigente: Storie di plastica, coautore Francesco Niccolini, è il titolo dello studio provvisorio presentato da oggi al Castello Pasquini di Castiglioncello.
Paolini, lei non smentisce la sua vocazione di teatrante sociale. Operare in questi giorni è particolarmente difficile?
“Io provo un lutto tutto mio. Non ho il dono di Dario Fo che "incorpora" le cose con prologhi magnifici. Piuttosto ho trovato una poesia, Figli dell'epoca, della Nobel polacca Wislawa Szymborska, e con questa ho dato inizio alla registrazione del monologo sull'Europa. Oppure m'interesso ancora una volta di Marghera: parlarne col pubblico vuol dire andare oltre quello che è successo”.
Come è strutturato il canovaccio tv che fa il punto sull'Europa?
“Il progetto era di due storie di confine: un episodio che m'è successo ai tempi della cortina di ferro, e un capodanno del 2000 alla frontiera pugliese con un nostro soldato e una ragazza profuga. Il montaggio è per ora limitato al primo capitolo, dove ricostruisco una notte del 1980 trascorsa al valico cecoslovacco da me e altri attori scritturati per recitare in Polonia. Filo spinato. Luci violente. Un guasto al motore ci blocca, e veniamo coinvolti nel fermo di un pullman di orchestrali cui alle 3 di notte viene chiesto di eseguire dei valzer”.
Sul versante teatrale, la ricostruzione dei fatti di Marghera ha già una fisionomia?
“Per ora non è uno spettacolo. Sono letture fondate sugli atti processuali. Dal ‘98 ci lavoro ogni tanto con Giuseppe Cederna e anche con Bettin e Del Giudice. Mi sta a fianco per la scrittura Francesco Niccolini. Abbiamo assistito a udienze nell'aula bunker, e letto una montagna di documenti. Racconto un luogo, l'epopea di una classe, e comportamenti che vengono alla luce grazie a Gabriele Bortolozzo, operaio che punta il dito. Bisogna mettere in relazione la sua voce con quelle di Volpi, Cefis, Gardini, Schimberni, Necci”.
In tempi di allarme per bioterrorismo lei dissotterra un disastro colposo ambientale...
“La psicosi degli americani è comprensibile. Ai lavoratori di Marghera si tenne nascosto quasi tutto, consigliandoli solo di lavarsi i denti col dentifricio Nuovo Urano, per eliminare la polvere cancerogena. Preoccupante è una tesi della difesa che ammette indennizzi proporzionati ai budget delle aziende: la pietas monetizzata. Qui sta la vera differenza tra la destra e la sinistra”.
Questo tipo di raccontodenuncia è realizzabile in veri e propri teatri?
“Dipende. A novembre ricomincio a portare in giro il mio spettacolo su Ustica, e la mia scelta è di non andare nelle stagioni in abbonamento. Preferisco le scuole, le Aule Magne, le sale pubbliche. Sembra tutto molto saggio, detto così, ma è che certo teatro va fatto senza infrastrutture ufficiali”.
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