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La Repubblica – Ritratto di gruppo degli anni Settanta

Lo sappiamo da qualche anno. Nel teatro italiano c'è una generazione con il gusto di ricordare e di narrarsi: gliel'ha insegnato, da caposcuola, Dario Fo, e sono di solito quarantenni, scioccati dal Sessantotto, ragazzi che hanno vissuto intensamente gli anni Settanta delle scelte estreme di campo, una stagione troppo diversa e troppo velocemente bruciata per non volerla trasmettere. A Milano questi nuovi cantastorie hanno una casa al Verdi. Ed è lì che Marco Paolini, veneto vagabondo con un'infatuazione "barbiana" e una maturazione a Teatro Settimo, ci va proponendo gli "album" della crescita di un certo Nicola, suggerito da Goscinny, ma sempre più teso a confondersi con il suo interprete.

Oggi, in un momento in cui il ritorno della memoria è diventato un dovere politico, nel quarto numero delle storie a puntate, l'"attautore" (che si auto-dirige) arriva agli anni dell'università e di una decisa militanza. "Aprile '74 e '75" è intitolato e datato il suo show: ricco degli umori della natura al risveglio, il mese - che coincide con la presentazione - designa una primavera personale in cui "tutto cambia".

Con inquietudine quindi si salta anche indietro negli anni, in flashback di stagione, che danno spinta e respiro al racconto, tra una galleria di personaggi pittoreschi, in parte già famigliari all'assiduo pubblico dei fan.

La preparazione di una manifestazione, che costituisce il tema programmatico, ha per sottofondo i debutti goliardici in un fitto movimento di treni, macchine, motorette, che non esclude la corsa a piedi; all'altro capo sta il rugby, la vita di spogliatoio, la fatica degli allenamenti, la visualizzazione clamorosa ed esilarante delle partite che vedono il nostro eroe "titolare in panchina".

Così, in un contrappunto studiato di azioni, si arriva da una parte alla finale nazionale del campionato giovanile, dall'altra all'atteso Primo Maggio.

Davanti a un tenda tirata, l'affabulatore governa da solo l'azione modulando i suoi affondi inesauribili di parole, gli stupori, le voci, i gesti misuratissimi ma in grado di dinamizzare lo spazio e di evocare personaggi con l'appoggio delle musiche di Gualtiero Bertelli; deflagrando in impressioni di folla, svelte nel lasciare il posto alla solitudine.

E nel concertato che sembra non voler più finire si sovrappongono i tempi e le dimensioni dell'irrompere nostalgico e trascinante di un passato che appartiene all'epica quotidiana.

Nell'ondeggiare del protagonista tra "liturgia e ideali" tiran le fila due personaggi femminili: la Norma, alla quale Nicola non si decide a dichiararsi se non quando le sta a rimorchio sulla vespa, e non verrà sentito come uno studente sulla slitta in una novella di Cechov; e la Jole, padrona e animatrice del bar di ritrovo, prima di esplodere come pasionaria alla manifestazione. Che finisce male, con l'assalto dei fascisti e il "Barbin" massacrato di botte e ridotto in coma profondo. Una conclusione miracolosa e presaga per una serata che con le sue emozioni ci trasporta lontano e dentro a noi stessi, ma unisce anche gli spettatori, come i ragazzi che andavano in piazza assieme allora.

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